Villanova e Villagrande: scatta la solidarietà per le zone alluvionate.
Gara di solidarietà dei due piccoli comuni ogliastrini. Il 6 dicembre 2004, un fiume di fango e detriti sconvolse la popolazione di Villagrande, lasciando una scia di distruzione e disperazione. E purtroppo anche due vittime. Solo chi ha vissuto quei terribili
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Gara di solidarietà dei due piccoli comuni ogliastrini.
Il 6 dicembre 2004, un fiume di fango e detriti sconvolse la popolazione di Villagrande, lasciando una scia di distruzione e disperazione. E purtroppo anche due vittime. Solo chi ha vissuto quei terribili momenti, il dolore e la ricostruzione, può sentirsi davvero vicino alle zone devastate nei giorni scorsi dal ciclone Cleopatra.
Partirà sabato mattina un numeroso gruppo di volontari dal paesino ogliastrino. Qualcuno è già partito giovedì per prestare aiuto nelle varie operazioni. La gente di Villagrande ha organizzato una raccolta fondi e una raccolta di beni di prima necessità da portare direttamente ad Olbia, al centro smaltimento.
Ma anche la frazione di Villanova Strisaili quanto a solidarietà e partecipazione non è stata da meno. “Noi abbiamo fatto una raccolta per Torpè – racconta Donatella Congiu, volontaria e mamma villanovese – e giovedì pomeriggio sono partiti due Fiat Ducato pieni di tutto. Uno era pieno di alimentari come pasta, riso, pelati, tonno, latte, zucchero, sale, polenta, biscotti, caffè omogeneizzati e biscottini per bambini. L’altro di lenzuola, coperte, piumoni, asciugamani, cuscini, giubbotti, pantaloni, maglioni, scarpe antinfortunistiche. Poi ancora: stivali di gomma per uomini donne e bambini, ma anche piatti bicchieri salviette, detergenti e detersivi, guanti, pannolini per bambini. Il tutto è partito ieri pomeriggio. E’ bastato mandare qualche messaggio e trovare un punto di raccolta, nel nostro caso la parrocchia, per vedere la gente rispondere pronta. Ci siamo messi a disposizione per andare a dare una mano. Per adesso sono a posto ma a breve avranno bisogno di nuova forza lavoro”.
La storia della prima donna arbitro d’Italia: una ragazza sarda

Un fischietto in rosa: la storia della prima donna arbitro d'Italia e il primato tutto sardo.
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La storia della prima donna arbitro d’Italia: una ragazza sarda.
Un fischietto in rosa: la storia della prima donna arbitro d’Italia e il primato tutto sardo.
Donne di carattere, donne sarde. Un detto che spesso trova nella storia i fatti a corroborarlo. Un primato in rosa molto particolare, quello di prima donna arbitro d’Italia, spetta infatti a una donna sarda: Grazia Pinna. La sua è una storia che non solo infrange le barriere di un mondo storicamente maschile, ma che dimostra anche come la tenacia e la determinazione siano un tratto distintivo dell’isola.
Nel febbraio del 1979, la notizia della sua nomina a prima donna arbitro d’Italia scosse il mondo sportivo. A raccontare la sua storia fu un articolo de L’Unione Sarda del 14 febbraio 1979, che la descriveva come una donna dal corpo minuto e dagli occhi intensi. Grazia Pinna, allora 35enne, si era trasferita dalla sua nativa Cagliari in Toscana nel 1962 per seguire il marito, un pasticciere. Dopo la sua prematura scomparsa, rimasta vedova e madre di due figli, fu scelta ufficialmente dall’Uisp per arbitrare partite di calcio, un ruolo che allora era un tabù per le donne.
Ma come spesso accade con i primati, la notizia di Grazia Pinna scatenò la contesa. Altre donne, tutte sarde o con un forte legame con la Sardegna, si fecero avanti rivendicando il titolo. Tra queste Agnese Carta, una 32enne di Guspini cresciuta a Terralba ed emigrata a Roma, che dichiarò di aver arbitrato da più tempo per conto della Fia. A contendersi il primato c’erano anche Placida Marrosu, un’altra sarda, e Paola Oddi, romana ma sposata con un uomo di Bitti. Tutte loro, in realtà, arbitravano partite da diversi anni. La vera eccezionalità di Grazia Pinna fu il riconoscimento ufficiale da parte dell’Uisp, un traguardo ancora negato dalla Figc, l’autorità competente per le altre tre donne.
Di chiunque sia stato il primato, una cosa è certa: la forza e il coraggio di queste donne hanno aperto la strada a molte altre. Per mettere la gonnella a un arbitro, per rompere un’altra barriera di genere, c’era bisogno di una sarda. La storia di Grazia Pinna e delle sue “rivali” è un esempio di come il carattere e la passione possano cambiare il corso delle cose, anche in un campo apparentemente impenetrabile come quello del calcio.

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