Dall’età nuragica, ai pastori del ‘900: sapete a cosa servivano questi ciottoli ritrovati nel villaggio di Genna Maria a Villanovaforru?

I ciottoli di fiume, oggi reperti, sono il simbolo tangibile di un filo rosso che lega la quotidianità dell'uomo nuragico a quella dei pastori sardi di ieri.
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Un’antica tecnica di riscaldamento dei liquidi riemerge dal passato in Sardegna, rivelando sorprendenti legami tra il mondo nuragico e le tradizioni pastorali del Novecento. Durante gli scavi nel villaggio di Genna Maria a Villanovaforru, gli archeologi hanno rinvenuto, accanto ai focolari, numerosi ciottoli di fiume. La loro presenza, strettamente connessa alle aree di combustione, suggerisce che fossero utilizzati a contatto diretto con il fuoco per riscaldare liquidi o cibi.
Una pratica che, secondo gli studiosi, non si sarebbe mai del tutto estinta: fino al secondo dopoguerra, infatti, i pastori sardi impiegavano ciottoli di quarzo arroventati per portare il latte a circa 70 gradi, ottenendo così il siero necessario per la produzione del formaggio. I sassi venivano riscaldati tra le braci e poi immersi nella pentola, permettendo di raggiungere la temperatura desiderata in pochi minuti.
Il ritrovamento di Genna Maria, risalente all’Età del Ferro, attesta come una tradizione tecnologica nuragica sia riuscita ad attraversare indenne i millenni. Le tecniche dei pastori del Novecento non erano frutto di una nuova invenzione, ma la diretta erede di un sapere antico, mantenuto vivo fino all’arrivo della grande trasformazione tecnologica che ha investito la Sardegna a partire dagli anni ’50 e ’60. I ciottoli di fiume, oggi reperti, sono il simbolo tangibile di un filo rosso che lega la quotidianità dell’uomo nuragico a quella dei pastori sardi di ieri.

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