Emanuele Ragnedda, chi è l’imprenditore del vino che ha confessato di aver ucciso di Cinzia Pinna

Da simbolo dell’eccellenza enoica gallurese a assassino reo confesso. La parabola di Emanuele Ragnedda, da enfant prodige del vino sardo a protagonista dell'atroce femminicidio di Cinzia Pinna.
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Dietro il nome di Emanuele Ragnedda, 41 anni, c’è una delle famiglie più note e influenti dell’imprenditoria gallurese. Fino a ieri conosciuto come l’enfant prodige del vino sardo, capace di lanciare sul mercato il vermentino più costoso d’Italia, oggi il suo volto è quello dell’assassino di Cinzia Pinna, la 33enne di Castelsardo scomparsa l’11 settembre e ritrovata senza vita nella tenuta di proprietà dell’imprenditore, dopo la sua confessione.
Figlio di Mario Ragnedda e nipote di Sebastiano e Francesco, Emanuele appartiene a una stirpe che ha segnato la storia vitivinicola della Gallura. Suo padre Mario è stato tra i fondatori della cantina Capichera, marchio simbolo del vermentino sardo, ceduto di recente alla famiglia Bonomi.
Cresciuto tra vigne e botti, Emanuele ha seguito le orme familiari partendo dal basso: nei primi anni ha svolto ogni ruolo in azienda, dall’operaio fino al responsabile del settore estero. Dopo studi a Milano e Londra e soggiorni in Argentina e negli Stati Uniti, ha maturato la decisione di costruirsi un percorso autonomo, lontano dall’ombra di Capichera.
Nel 2016 fonda Conca Entosa, la sua creatura personale: sette ettari di vigne affacciate sulla Corsica, ereditati dal nonno Andrea, affidati alla consulenza dell’enologo Piero Cella, allievo di Giacomo Tachis. Con Conca Entosa, Ragnedda diventa un nome di punta del lusso enoico internazionale: il suo Disco Volante Igt 2021, ribattezzato “il bianco più caro d’Italia”, raggiunge quotazioni record di 1.800 euro a bottiglia, trasformando l’imprenditore in un personaggio di culto nel mondo del vino d’élite.
La sera dell’11 settembre, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Emanuele avrebbe incontrato Cinzia Pinna proprio nei locali della sua azienda. Da quella notte la giovane non ha fatto più ritorno a casa. La famiglia, preoccupata, ha denunciato la scomparsa il giorno dopo: alle ricerche hanno partecipato carabinieri, vigili del fuoco, protezione civile e volontari, mentre la sorella della vittima diffondeva appelli disperati sui social.
Le indagini hanno portato a Ragnedda, già indagato per omicidio e occultamento di cadavere. Dopo un tentativo di fuga via mare sventato dai carabinieri, il 41enne è crollato durante un lungo interrogatorio, ammettendo le proprie responsabilità e indicando il luogo in cui aveva nascosto il corpo della giovane.
La parabola di Ragnedda, da enfant prodige del vino sardo a protagonista di un femminicidio, lascia sgomenti. Da simbolo dell’eccellenza enoica gallurese a assassino reo confesso, il suo nome resterà per sempre legato non più a bottiglie da collezione ma a una tragedia che ha spezzato la vita di una giovane donna e segnato in modo indelebile la sua famiglia.

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