Lo sapevate? Nonostante il rapimento De André perdonò i suoi carcerieri e cementò il suo legame con la Sardegna

Nonostante il rapimento da parte dell'Anonima Sarda, le catene e le condizioni non certo comode in quattro lunghi mesi di prigionia, Fabrizio De André e sua moglie Dori Ghezzi perdonarono i banditi e scelsero di vivere ancora nell'Isola.
Lo sapevate? Nonostante il rapimento De André perdonò i suoi carcerieri e cementò il suo legame con la Sardegna.
Nonostante il rapimento da parte dell’Anonima Sarda, le catene e le condizioni non certo comode in quattro lunghi mesi di prigionia, Fabrizio De André e sua moglie Dori Ghezzi perdonarono i banditi e scelsero di vivere ancora nell’Isola.
“La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventriquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso’. Così il genovese Fabrizio De André esprimeva il suo amore verso quella che fu – a partire dagli anni Settanta – l’altra madre: la Sardegna.
Fabrizio De André e la Sardegna: un legame forgiato nel dolore e nella bellezza. Negli anni ’70, Fabrizio “Faber” De André, icona della musica italiana, acquistò un vasto terreno nei pressi di Tempio Pausania, in Sardegna, cercando tranquillità per sé e la compagna Dori Ghezzi, in attesa della figlia Luisa Vittoria.
Questo idillio fu brutalmente interrotto la notte del 27 agosto 1979, quando l’Anonima sarda, banda di sequestratori, rapì la coppia dalla loro casa. Per quattro mesi, Fabrizio e Dori vissero un’esperienza terrificante: catene, bende sugli occhi, ore interminabili legati agli alberi nei fitti boschi dell’entroterra.
Nonostante il trattamento degradante, i carcerieri mostrarono tratti di umanità, permettendo momenti senza cappucci, fornendo sigarette e cerini a Faber, e intrattenendo conversazioni su politica e improvvisati giochi di carte. Un rapitore, sotto l’effetto dell’alcol, espresse persino rammarico per il trattamento riservato “soprattutto a Dori”.
La liberazione giunse il 21 dicembre, dopo il pagamento di un riscatto di 550 milioni di lire, principalmente versato da Giuseppe De André, padre di Fabrizio. Nel 1985, dodici membri della banda furono arrestati e condannati. Al processo, Faber, mostrando una straordinaria compassione, perdonò gli esecutori materiali, costituendosi parte civile solo contro i capi benestanti della banda.
Questa traumatica esperienza, anziché allontanarlo, legò De André ancora più profondamente alla Sardegna. Nello stazzo ristrutturato dell’Agnata, trasformato in un’azienda agricola, il cantautore compose numerosi capolavori che narrano dei sardi e della loro terra. Canzoni in gallurese come “Zirichiltaggia” e “Ave Maria”, e in italiano come “Disamistade” e “Il canto del servo pastore”, testimoniano questo legame. Con Massimo Bubola, scrisse l’album “L’Indiano” del 1981, che paragona i sardi agli indiani d’America. Il sequestro ispirò la toccante “Hotel Supramonte”. Questa dolorosa esperienza, trasformata in arte, non solo produsse una raccolta di brani senza titolo ufficiale, ma nota come “L’indiano” per l’immagine in copertina, ma cementò il profondo legame tra De André e l’Isola, dimostrando come anche dalle esperienze più buie possa nascere una bellezza straordinaria e duratura.

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