Passeggiamo sovrappensiero per le strade di Cagliari. Di tanto in tanto diamo un’occhiata alle vetrine, poi ci perdiamo nel vociare allegro dei giovani che popolano il centro nel tardo pomeriggio. All’improvviso le nostre narici si dilatano e captano un profumo inconfondibile. Siamo nel corso Vittorio Emanuele II, al civico 132, e tra mille tavolini all’aperto popolati da taglieri, spritz e calici di vino, veniamo rapiti dal richiamo delle pizzette al taglio.

Una tradizione secolare, quella del rettangolo di pizza condito in mille modi diversi che in questa zona della città è stata raccolta e interpretata in chiave contemporanea da One Pizz, simpatica pizzeria al taglio ispirata, nell’ambiente, dal mondo anime giapponese, dai pirati di One Piece in particolare.

Entriamo con l’appetito a mille e le papille gustative in fermento. I nostri occhi vengono catturati dalle mani in pasta della titolare Giulia e del suo staff e dai loro impasti colorati: alla paprika affumicata, alle olive, nere, allo zafferano e ai cereali.

Ordiniamo un poker di specialità della casa: una pizzetta classica, una pizzetta tonda con impasto alla paprika affumicata, uovo, cheddar, bacon e cipolla rossa, un “mustazzeddu” alle melanzane e un cono di pizza con impasto allo zafferano.

La pizzetta speciale ha un impasto classico, piacevolmente saporito, morbido dentro e leggermente croccante fuori grazie all’ottima doratura in teglia. Il ripieno è un’esplosione di sapori. Dedicata ai cultori del “foodporn”.

Da manuale la pizzetta margherita classica: dimensioni importanti, impasto ben lievitato, sugo dolce e mozzarella abbondante e filante. Addentandola si capisce il successo nei decenni della pizzetta cagliaritana tradizionale.

Il mustazzeddu ha un impasto diverso, quello del pane. One Pizz ha portato a Cagliari questa specialità sarda tipica del Sud Sardegna (molto diffusa nel Sulcis e nel Sarrabus) che coniuga la morbidezza e la fragranza del pane con il gusto saporito delle verdure del territorio.

Il cono di pizza è invece un’invenzione di questo locale. Si tratta di una pizzetta chiusa a forma di cono con ripieno a piacere. Noi l’abbiamo chiesta con base classica, patate e salsiccia fresca. Avete presente i malloreddus alla campidanese? Ecco, non abbiamo altro da aggiungere.

Parlando con la titolare siamo rimasti molto incuriositi dall’ampia offerta vegana a disposizione, una vera rarità in Sardegna. Oltre ai mustazzeddus, tradizionalmente privi di qualsiasi derivato animale, da One Pizz i vegani possono provare la pizzetta con mozzarella di riso. Si tratta di un formaggio veg che ricorda molto la mozzarella classica e che risulta altrettanto filante. Il risultato è una pizzetta di tutto rispetto che ha già conquistato l’apprezzamento e la simpatia di molti clienti vegani cagliaritani.

Il nostro consiglio è di passare da queste parti nel tardo pomeriggio o la sera, prima o dopo l’aperitivo o nel mezzo di una lunga passeggiata. I più pigri possono invece farsi portare la cena a casa prenotando su Deliveroo. Si può pagare anche in Sardex. La garanzia? Né gli amanti della pizzetta tradizionale, né i palati più curiosi resteranno delusi: da One Pizz ce n’è per tutti i gusti.

Negli ultimi tempi si è fatto sempre più acceso il dibattito sul rapporto difficile tra amministrazioni locali e organizzatori di festival ed eventi culturali. In molti casi, gli ideatori di progetti culturali hanno denunciato una mancanza di sostegno, che talvolta li ha spinti a spostare le proprie iniziative altrove, alla ricerca di contesti più accoglienti. In altri casi, gli stessi amministratori non si sono presentati agli eventi, non hanno preso parte alle iniziative e sono rimasti distanti dal tessuto culturale che avrebbero dovuto promuovere. Questa distanza istituzionale, oltre a segnalare disinteresse, contribuisce a far sentire i progetti isolati e poco valorizzati.

Per riflettere su questo fenomeno abbiamo chiesto un parere a Giuditta Sireus, manager culturale e direttrice artistica del Club di Jane Austen Sardegna. Le sue parole sono state nette e le riportiamo integralmente:

«Esprimo una preoccupazione sempre più profonda verso quelle comunità che, in modo sistematico o silenzioso, non sostengono i progetti culturali e le iniziative culturali che nascono e crescono nei propri territori, salvo poi vederli riconosciuti, apprezzati e applauditi altrove», ha spiegato Sireus. «Un paradosso ormai diffuso, che colpisce molte realtà: progetti che trovano ascolto e valore lontano da casa, ma restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento».

Secondo Sireus, la mancanza di sostegno non è mai neutra. Può assumere forme economiche, morali, istituzionali, ma anche semplicemente manifestarsi come assenza: un silenzio pesante che incide sulla vitalità dei territori e sulla possibilità stessa che la cultura continui a essere un motore di crescita. «La cultura non è un ornamento né un esercizio autoreferenziale — sottolinea —. È crescita collettiva, condivisione, apertura. È uno spazio comune che vive solo se viene attraversato, sostenuto, difeso».

Non sostenere ciò che nasce sul proprio territorio, aggiunge, significa rinunciare a una parte dell’identità collettiva. Ma rivendica anche la scelta della cosiddetta “barrosia”: restare, anche quando il contesto sembra ostile. «Rimanere non per rassegnazione, ma come dichiarazione di esistenza. Restare per continuare a seminare, per chi apprezza, per chi riconosce il valore di ciò che viene proposto. Restare per alimentare un disturbo positivo: accendere dibattito, stimolare confronto, creare possibilità di bellezza».

Un appello diretto, infine, agli amministratori pubblici: «Sostenere la cultura non è un gesto opzionale, né una concessione. È una responsabilità politica. Ogni assenza, ogni mancata partecipazione, è una scelta che produce conseguenze. Quando un progetto culturale viene lasciato solo, non perde solo chi lo porta avanti: perde l’intera comunità».

Le parole di Sireus tracciano un quadro chiaro e urgente: senza un sostegno consapevole e continuo, senza la presenza attiva di chi amministra e governa i territori, i progetti culturali rischiano di fiorire altrove, privando le comunità del proprio capitale creativo. Restare, seminare, sostenere: queste sono le parole chiave per trasformare la cultura in vero motore di crescita collettiva.