Leggende cagliaritane. Perda Liàda, quel sasso contro i saraceni e il mito di un lamento d’amore
Al largo della cagliaritana Torre del Prezzemolo si erge l'isolotto de Sa Perda Liàda. Un gigantesco scoglio, nelle acque di Sant'Elia, che nasconde un affascinante leggenda e una storia di un amore barbaramente ucciso.
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Della cosiddetta “spiaggiola” di Sant’Elia, accanto al noto ristorante “Lo Scoglio” e ancora frequentata nelle domeniche estive da molti abitanti del rione, si è parlato abbastanza. Quell’arenile di sabbia e ciottoli, accessibile da una scalinata un po’ nascosta fra le erbacce, raggiungibile dalla strada serrata ai piedi della Torre del Prezzemolo.
Ed è proprio al largo di questa che si erge l’isolotto de Sa Perda Liàda, anche detto Scoglio di Sant’Elia. Forma sub-rotonda, rada vegetazione sulla sua superficie, questa grande “pietra” è teatro di un’affascinante leggenda cagliaritana.
Si racconta infatti che ai tempi delle invasioni saracene un frate, che abitava nel cenobio edificato nella parte alta del promontorio, avvistando l’imbarcazione nemica le lanciò contro una perla proveniente dalla mitra di San Giovenale. Ecco allora che, nel rotolare per il pendio, la perla a poco a poco diventò sempre più grossa e, piombando sull’imbarcazione, la distrusse. È la leggenda della Perda Liàda, ovvero la pietra lanciata.
Come riportato da Gian Paolo Caredda, però, pare che il nome dell’isolotto sia anche quello di Galata, nascondendo così un’altra leggenda. I pescatori del passato infatti sostenevano che, durante la notte, in quel tratto di mare si sentiva un canto melodioso. Questo era il lamento della mitica Galatea, una delle Nereidi che abitavano il Mediterraneo, di cui si invaghì il terribile figlio di Poseidone, Polifemo. A quest’ultimo, tuttavia, la fanciulla preferì il giovane Aci. Il ciclope allora, preso da accesa ira, lo schiacciò con un masso.
Riferimenti Bibliografici: Gianpaolo Caredda, Le tradizioni popolari della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico, Nuoro.
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Assemini, il Natale nella casa delle mille luci: “Per mio padre e mia sorella che non ci sono più”

Ad Assemini la casa delle luci che custodisce la memoria: il Natale di Emanuela nasce per ricordare chi non c’è più.
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Ad Assemini, in via Sardegna 52, ogni anno una casa si accende molto più delle altre. Non è solo una questione di luminarie spettacolari né di addobbi ricercati: dietro quel bagliore c’è una storia familiare che ha trasformato il Natale in un gesto di memoria e resistenza emotiva. A raccontarla è Emanuela Pili, che da quattro anni dedica alle feste un allestimento sempre più ricco, nato non per stupire, ma per ricordare.
«Il Natale è sempre stato la mia festa del cuore», confida. Un legame forte fin dall’infanzia, fatto di attese, luci e piccoli incantesimi capaci di rendere più lieve anche ciò che non lo è. Poi, sedici anni fa, la perdita della sorella ha iniziato a cambiare il significato di quei giorni. Il Natale è diventato un tempo in cui la presenza convive con l’assenza, un modo per tenere vivi i legami.
Il punto di svolta arriva nel 2020, quando Emanuela e il marito si trasferiscono temporaneamente dai genitori: il padre sta male, è un Natale malinconico, inconsapevolmente l’ultimo da vivere insieme. «Sentivo il bisogno di creare qualcosa che portasse serenità», racconta. Così, in silenzio, ogni giorno, allestisce l’intera casa. Sceglie il rossoblù, i colori del Cagliari, perché il padre ne era un tifoso instancabile: un dettaglio che spera possa strappargli un sorriso.
Lui, costretto all’ossigeno e con difficoltà a camminare, non vede i lavori all’esterno. Finché una notte Emanuela decide di portarlo fuori in auto per mostrargli la sorpresa. «Quando arrivammo davanti alla nostra casa illuminata, ricordo ancora le sue parole: “Sa dommu esti bella. Torru a sentiri s’aria de Natali”.» In quel momento, racconta, capì che la luce può davvero farsi conforto, presenza, memoria.
Dal 2021 quell’allestimento è diventato un rito famigliare: la madre la affianca ogni anno, con entusiasmo crescente, mentre il marito è parte imprescindibile della preparazione. «Illumino la casa non per apparire. Lo faccio per mio padre e per mia sorella, perché nelle luci io li ritrovo», spiega. Ma c’è anche un altro motivo: offrire a chiunque ne abbia bisogno un frammento di speranza.
La casa, infatti, resta aperta ogni giorno fino al 6 gennaio, con orario continuato. Un luogo pensato soprattutto per i bambini, ma in cui tutti possono entrare liberamente: chi vuole lasciare una letterina a Babbo Natale, salire sulla slitta, scattare una foto, o semplicemente ritagliarsi un momento di quiete. «Se anche solo per un secondo queste luci riescono a dare gioia a qualcuno, per me è già abbastanza», dice Emanuela.
Così, ad Assemini, quella casa non è solo un’attrazione natalizia: è un invito. A ricordare, a ritrovare stupore, a credere che un gesto semplice – una luce accesa, ogni anno – possa ancora scaldare il cuore.
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