La patata viola made in Sardegna: piace tanto agli chef e la si coltiva anche nell’Isola

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Il 10 agosto 2023 si spegneva a Roma, a soli 51 anni, Michela Murgia. Nata a Cabras nel 1972, scrittrice, intellettuale e attivista, aveva raccontato pubblicamente pochi mesi prima di essere affetta da un tumore in stadio avanzato, con metastasi diffuse a polmoni, ossa e cervello. Una malattia che non le aveva tolto la lucidità né la voglia di intervenire nel dibattito pubblico, fino agli ultimi giorni.
La diagnosi, resa nota in un’intervista a Il Corriere della Sera nel maggio dello stesso anno, era arrivata dopo anni di controlli interrotti a causa della pandemia. Murgia aveva già conosciuto il cancro nel 2014, quando era candidata alla presidenza della Regione Sardegna, ma allora aveva scelto di non parlarne: “Non volevo pietà”, spiegò. Questa volta invece aveva deciso di raccontare apertamente la propria condizione, trasformando anche il matrimonio con l’attore Lorenzo Terenzi in un gesto politico. Lo definì un atto necessario “perché lo Stato chiede un ruolo” quando si tratta di garantire diritti reciproci, pur criticando l’istituto matrimoniale come limitato e patriarcale.
Negli ultimi mesi aveva acquistato una casa con dieci posti letto per vivere insieme alla sua “famiglia queer”, composta da amici stretti e dai suoi quattro “figli d’anima”. Era la sua risposta concreta al modello tradizionale di famiglia, una scelta di vita coerente con anni di impegno per una società più inclusiva. “Non chiamatemi guerriera, odio i militari” aveva detto al Salone del Libro di Torino, rifiutando narrazioni eroiche della malattia. La sua priorità era “arrivare viva alla morte”, cioè continuare a pensare, parlare e agire.
Tra le sue ultime prese di posizione pubbliche ci fu la critica alla decisione della Rai di cancellare Insider, programma di Roberto Saviano. Poi, un post dall’ospedale, col sorriso e le cannule dell’ossigeno, per ringraziare chi paga le tasse e permette di curarsi, “in barba a chi demonizza” questa scelta.
Murgia lascia un’eredità letteraria e intellettuale vasta. Dal romanzo d’esordio Il mondo deve sapere (2006), satira sul mondo dei call center, a Viaggio in Sardegna (2008), fino al capolavoro Accabadora (2010), vincitore del Premio Campiello, in cui rievoca antichi rituali legati alla fine della vita. Tra saggistica e narrativa, ha firmato opere come Ave Mary, Istruzioni per diventare fascisti, Stai zitta, God Save the Queer e il suo ultimo libro, Tre ciotole, un romanzo che si apre proprio con la scoperta della malattia e racconta di esistenze che affrontano cambiamenti irreversibili.
“Ho cinquant’anni ma ho vissuto dieci vite”, disse poco prima di morire. “Ho fatto cose che la maggior parte delle persone non fa in tutta la vita. Ho ricordi preziosi”.
Due anni dopo, la sua voce continua a risuonare nelle pagine che ha scritto e nelle battaglie che ha condotto, con quella forza combattiva e intransigente che non ha mai smesso di sfidare conformismi e ingiustizie.