Una famiglia in miseria: la storia e la richiesta di aiuto per Sergio e la sua compagna

Dovrebbe essere una di quelle storie legate ad altri tempi, quando, per qualcuno, il non avere un tetto e un tozzo di pane forse era più accettabile di quando non lo debba essere oggi. Purtroppo però si tratta di attualità:
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Dovrebbe essere una di quelle storie legate ad altri tempi, quando, per qualcuno, il non avere un tetto e un tozzo di pane forse era più accettabile di quando non lo debba essere oggi. Purtroppo però si tratta di attualità: alle soglie del 2018 c’è chi ancora perde il lavoro e resta letteralmente in strada, costretto a dover chiedere l’elemosina.
Questo racconto, ingiusto e incredibile, proviene dal post di un utente Facebook, Antonello Gregorini e riporta la storia di Sergio e la sua compagna, ridotti in miseria, la cui unica speranza, ora, è legata alle condivisioni del loro appello.
“Una famiglia in miseria. Quasi ogni mattina prendo il caffè al Bloody Mary in via San Michele. Da qualche giorno incontro una coppia che chiede l’elemosina. L’altro ieri avevano l’apixedda 50, con zappa, pala bidone sul cofano. Entrambi notevolmente smagriti, occhi e guance incassate. Lei pallida, visibilmente in uno stato di salute precaria, da qualche giorno anche con un plaid sulle spalle.
Stamattina ho chiesto perché fossero in questa condizione di evidente miseria e gli ho offerto la colazione. Senza remore, Sergio, si è avvicinato con me al banco, lasciando la compagna fuori, forse perché con quella coperta sulle spalle non sarebbe stata, comprensibilmente, gradita all’interno del bar. «Chiama anche lei», dico io, per un gesto di cortesia e rispetto dovuto. «No, non ti preoccupare, facciamo a metà», dice Sergio, «le porterò io la pasta». «E il caffè?»…«Va bene così, non vogliamo disturbare troppo…».
Al banco gli chiedo chi fosse. «Abitiamo qui dietro. Da qualche mese io ho perso il lavoro e non ho più trovato niente, quindi ci troviamo in questa condizione. La mia compagna ha una “pensione”, un aiuto dato dagli assistenti sociali di duecentottanta euro al mese, però, sai, paghiamo la luce, 70 euro, l’acqua e qualcos’altro, e quei soldi vanno via». «Andrai alla Caritas, immagino…», chiedo. «Si, quando non c’è altro andiamo alla Caritas, oppure, meglio, a Quartu, dove c’è una piccola mensa per poveri, più pulita e tranquilla». «Ma tu lavoravi? Com’è che hai perso il lavoro?», incalzo io, già sapendo che poi avrei scritto. «Lavoravo in un call center, poi sono stato licenziato. Poi ho trovato lavoro in un agriturismo, d’estate, perché adesso non mi chiamano più».
«Ma tu parli bene, hai studiato, sei di qui?» Continuo. «Sono di Tortolì. Si, ho fatto lo scientifico, poi Scienze Forestali, diversi esami, a Firenze. Poi è morto mio padre e quindi sono dovuto rientrare». «Che lavori potresti fare?», dico io. «Tutto. Anche il giardiniere. Conosco le piante. Ho dato due esami universitari sull’argomento».
Vado alla cassa e pago, lui chiede se può prendere la pasta e, avutala, la porta alla compagna all’esterno del bar. Lei prende la pasta e guardandomi negli occhi mi ringrazia, mi stringe la mano dicendo che questa generosità mi ritornerà, dal cielo. Non sarà dal cielo sicuramente, però mi è già “tornata” semplicemente col dialogo e la loro conoscenza. «Posso scrivere questa storia, Sergio, e dire che cerchi aiuto, un lavoro?», domando infine. «Certo, farebbe questo? La ringrazio molto. Davvero molto gentile». E così vado. Dalla giusta distanza scatto questa foto che rimetto alla compassione generosa del pubblico di noi “leoni da tastiera”. Sergio e la compagna sono lì, ogni mattina verso le otto, ci aspettano“.

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“Il Dono”. A Bono il nuovo murale di Mauro Patta racconta un’antica promessa: sapete quale?

Il volto, scolpito in un’espressione di pacata solennità, è quello di una donna che porta con sé un sapere antico: la custodia delle tradizioni, il rito del tramandare. Ma cosa tiene tra le mani?
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Un gesto semplice, carico di significato, diventa monumento pubblico nell’ultimo murale firmato da Mauro Patta, realizzato nel 2025 a Bono, nel cuore della Sardegna. L’opera, intitolata “Il dono”, si sviluppa su una superficie di 72 metri quadrati, ma ciò che imprime nello sguardo è la sua delicatezza, il suo respiro intimo.
Al centro della composizione, una figura femminile. Il volto, scolpito in un’espressione di pacata solennità, è quello di una donna che porta con sé un sapere antico: la custodia delle tradizioni, il rito del tramandare. Si intuisce che tra le mani – non visibili – regge un cató, dolce tipico della cultura locale, offerto in passato dalla futura suocera alla promessa sposa. Un gesto silenzioso e profondamente simbolico, che parlava di accoglienza, di passaggio, di fiducia.
Il taglio dell’immagine è ravvicinato, quasi cinematografico. Non ci sono sfondi, né oggetti, eppure si avverte la presenza di una casa, di un tempo lento, domestico, carico di memoria. Patta sceglie di raccontare senza parole, affidando al volto e al gesto invisibile la forza evocativa del rito.
“Il dono” non rappresenta soltanto un passaggio tra due donne o tra due famiglie: racconta la trasmissione di un sapere femminile fatto di gesti quotidiani, di cucina e di cura, di attese e intese silenziose. È un sigillo d’amore, impastato di mandorle e zucchero, un augurio delicato ma duraturo, come le tradizioni che sanno rinnovarsi nel tempo.
Con questa nuova opera, Mauro Patta prosegue il suo lavoro di valorizzazione dell’identità sarda attraverso l’arte pubblica, restituendo alle comunità locali i volti e le storie che le abitano. Un ringraziamento speciale è stato rivolto al Sindaco Michele Solinas e a tutta l’amministrazione comunale di Bono, per il sostegno al progetto, e all’intera comunità per la calorosa accoglienza.

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