«Quella notte ero di servizio all’aeroporto di Elmas», la tragedia del DC-9 a Sarroch e il racconto di chi visse in prima persona quei drammatici momenti

La tragedia del DC-9 a Sarroch e il ricordo di chi visse in prima persona quei drammatici momenti.
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La notte tra il 13 e il 14 settembre 1979 resta impressa come la più grave sciagura aerea nella storia della Sardegna. Il volo Trasporti Italiani 12, partito da Alghero e diretto a Roma con scalo a Cagliari, si schiantò contro il Monte Nieddu, nei pressi di Sarroch. A bordo c’erano 27 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio: nessuno sopravvisse.
Il DC 9-32 era decollato da Fertilia poco dopo la mezzanotte con un leggero ritardo. L’avvicinamento a Elmas fu segnato dal maltempo: nembi e nuvole convinsero il comandante Pennacchio e il primo ufficiale Mercurelli a virare, convinti di sorvolare il mare. In realtà l’aereo si trovava diretto contro il monte. Alle 00.45 il velivolo scomparve dai radar e pochi istanti dopo una palla di fuoco illuminò la notte.
I soccorsi furono immediati ma difficoltosi: vigili del fuoco, militari, carabinieri e volontari tentarono di raggiungere il luogo dell’impatto, ostacolati dal fango e dall’oscurità. Solo all’alba un elicottero militare riuscì a sorvolare la zona, rivelando uno scenario devastante: rottami fumanti, i corpi irriconoscibili delle vittime e il rogo che ancora bruciava.
Tra coloro che vissero in prima persona quelle ore c’è Cesare Fanfani, dipendente dell’aeroporto di Elmas. La sua testimonianza, ancora oggi carica di emozione, restituisce la drammaticità di quei momenti: «Quella notte ero di servizio all’aeroporto di Elmas, dipendente della compagnia aerea. Sono stato avvertito per telefono dagli operai della raffineria che avevano visto sui monti uno scoppio di fuoco; ho immaginato subito ciò che era accaduto perché avevo perso il contatto col comandante con la radio di scalo. Una delle cose che ricordo ancora, anzi che ancora oggi mi risuona nelle orecchie è anche il grido disperato dell’ufficiale della torre di controllo di Elmas al quale ho telefonato dopo la chiamata degli operai della Saras per avere certezza dell’accaduto e che aveva perso anche lui il contatto radio e non si capacitava dove fosse finito l’aereo».
«Ho allertato la direzione civile e i pompieri e sono stato prelevato da una pantera dei carabinieri per andare sul posto perché la speranza era quella che ci fossero dei superstiti. Non siamo mai arrivati sul posto ma siamo rimasti impantanati dal fango delle strade che ci ha impedito di proseguire. Solo alle prime luci dell’alba un elicottero militare dell’aeroporto di Decimomannu è arrivato sul luogo e vi lascio immaginare che cosa ha trovato. Il secondo pilota era un amico col quale andavo qualche volta a giocare a tennis. Questa tragedia che ho vissuto di persona guardando anche in faccia i parenti delle vittime in quei momenti di disperazione me la sono portata appresso con sofferenza per molto tempo».
La sciagura colpì l’intera comunità: una camera ardente venne allestita al Palazzetto di viale Marconi e i funerali si svolsero alla Basilica di Bonaria davanti a ventimila persone. Le indagini attribuirono la responsabilità al comandante, al suo secondo e al controllore di volo, poi graziato dal Presidente della Repubblica. Ma per chi c’era, come Cesare Fanfani, quella notte non sarà mai archiviata nei libri di storia: resta una ferita aperta, un ricordo inciso nel silenzio interrotto solo dal boato di un aereo contro la montagna.

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