L’artista sardo Salvatore Garau vende “Io Sono”, la sua opera invisibile per 15mila euro

Non tutti l’hanno accolta con entusiasmo. C’è chi parla di provocazione fine a sé stessa, chi grida alla farsa. Ma proprio questa divisione, questo dibattito acceso, è parte integrante dell’opera stessa.
L’arte contemporanea trova spesso la sua forza nel mettere in crisi le certezze e nel ridefinire ciò che consideriamo reale. Ed è proprio un artista sardo, Salvatore Garau, nato a Santa Giusta nel 1953, a portare questa tensione concettuale verso nuovi orizzonti. La sua opera Io Sono, una scultura che non ha forma né peso, ha catalizzato l’attenzione del mondo dell’arte per un motivo sorprendente: è completamente immateriale, eppure è stata venduta all’asta per quasi 15.000 euro.
Io Sono non si vede e non si tocca, ma per Garau esiste eccome. Si manifesta nello spazio, nell’intenzione, nella percezione di chi la osserva – o meglio, di chi la immagina. L’unico elemento concreto consegnato all’acquirente è un certificato di autenticità, che ne attesta l’esistenza e ne indica il luogo di “esposizione”. L’opera vive nel vuoto, ma proprio in quella mancanza si radica il suo significato: evocare, interrogare, evocare ancora.
Garau non è solo un provocatore intellettuale: è un artista profondamente legato alla sua terra. Dalla Sardegna trae la forza di un’identità forte e autonoma, il senso del silenzio e del vuoto che non è assenza, ma presenza ancestrale. In un mondo spesso saturato di immagini e oggetti, Io Sono è una dichiarazione coraggiosa: non c’è bisogno di materia per fare arte, bastano l’idea e lo spirito. È un messaggio che affonda le radici nella cultura sarda, dove il non detto, il simbolico e il silenzio hanno sempre avuto un ruolo centrale.
Garau si inserisce in una linea storica di artisti che hanno cercato di liberare l’arte dal suo vincolo materiale. Yves Klein, con la sua Le Vide, o Piero Manzoni, con opere provocatorie come la Merda d’Artista, avevano già tracciato un solco. Ma Garau, con la forza della sua origine isolana e la consapevolezza del proprio tempo, estremizza il concetto, rendendo l’invisibile non solo arte, ma bene economico, conteso e discusso.
In un’epoca dominata dal materialismo e dal collezionismo esasperato, Garau lancia una sfida diretta: si può davvero misurare il valore dell’arte in chilogrammi o centimetri? Io Sono non offre nulla da possedere, nulla da mostrare fisicamente. È un invito a riflettere, a rallentare, a recuperare una dimensione più profonda del pensiero artistico. Un atto quasi spirituale, che dialoga con la dimensione del sacro e dell’invisibile, tanto cara alla cultura sarda.
Non tutti l’hanno accolta con entusiasmo. C’è chi parla di provocazione fine a sé stessa, chi grida alla farsa. Ma proprio questa divisione, questo dibattito acceso, è parte integrante dell’opera stessa. Per Garau, l’arte è discussione, è tensione intellettuale. E nel momento in cui ci si interroga se Io Sono sia davvero arte, l’opera ha già fatto il suo lavoro. Come disse Marcel Duchamp: “È l’artista a decidere cos’è arte.” Salvatore Garau, con le sue radici sarde ben salde e lo sguardo rivolto all’infinito, non ha fatto altro che prendere quella frase e trasformarla in realtà invisibile.

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