L’ultimo messaggio di un martire condannato a morte nell’Anfiteatro di Cagliari.
In una delle cisterne attigue all’Anfiteatro romano c’è ancora un antico messaggio lasciato da un condannato a morte. Che cosa dice?
Un messaggio che racconta la fine di un martire condannato a morte nell’Anfiteatro di Cagliari.
Tra le pieghe più segrete della Cagliari sotterranea, si cela una storia affascinante e commovente. Nelle profondità di una delle cisterne adiacenti all’Anfiteatro romano, un antico graffito sussurra ancora oggi un messaggio carico di sofferenza e speranza, lasciato da un condannato a morte che probabilmente non aveva più nulla da perdere, se non la propria vita. Il testo, incisi nelle pareti di pietra di quella cisterna, ci rimanda a un simbolo di fede che, seppur ancor oggi di difficile interpretazione, racconta una storia di un’epoca lontana.
Le cisterne sotterranee di Cagliari sono un intrico di spazi che nel corso dei secoli hanno avuto molti usi: luoghi di rifugio, serbatoi d’acqua, e anche rifugi antiaerei durante la Seconda Guerra Mondiale. Una di queste, adiacente all’Anfiteatro, ci racconta una vicenda davvero singolare. L’area in questione si trova oggi nell’Orto dei Cappuccini, ma un tempo questa cisterna non era solo una semplice riserva di acqua per la città. Con il passare del tempo, alcune fratture nelle pareti della cisterna ne impedirono l’uso come serbatoio e la cavità fu destinata a un’altra funzione. Situata a pochi passi dall’anfiteatro, che ospitava gli spettacoli cruenti dei gladiatori, divenne un luogo di detenzione per i prigionieri condannati a morte, i quali vi attendevano il loro destino tragico.
La cisterna, parte di un sistema idrico ben organizzato, era una struttura monumentale che poteva contenere fino a un milione di litri d’acqua, ma l’uso come prigione segna una sua trasformazione. Proprio per adattarla a questa nuova funzione, furono scavati trenta grandi maniglioni nella roccia, nei quali si potevano fissare le catene per trattenere i prigionieri in attesa della loro esecuzione. È proprio accanto a uno di questi medaglioni che, negli anni ’90, l’archeologo Mauro Dadea scoprì un segno indelebile. Iniziò a tracciare i labili contorni di un graffito che pareva raccontare molto di più di quanto potessero sembrare le semplici linee incise nella pietra.
Questo graffito, secondo lo studio dell’archeologo, rappresenta una nave con la vela spiegata, simbolo che i primi cristiani usavano per simboleggiare la Chiesa. In modo ancora più affascinante, sull’albero maestro della nave sono incise due lettere greche: la X, che rappresenta la lettera “Chi”, e la P, che sta per “Rho”. Insieme, queste due lettere formano la “croce monogrammatica”, un simbolo cristiano per eccellenza, che rappresenta Cristo. La scena si arricchisce ulteriormente con dodici barre verticali che sembrano simboleggiare i dodici apostoli, impegnati nel loro ruolo di “pescatori di uomini”, come raccontato nei Vangeli. Intorno alla nave, altri simboli cristiani: una croce, un pesce e un’ancora, che evocano le tre Virtù teologali: Fede, Carità e Speranza.
Ciò che emerge da questa scoperta è straordinario. Non può trattarsi di un semplice prigioniero. Il messaggio incastonato nelle pareti di pietra suggerisce la presenza di un cristiano consapevole, un uomo che probabilmente possedeva una certa cultura religiosa, un martire che conosceva profondamente i simboli del cristianesimo. Gli studiosi ipotizzano che il graffito sia stato realizzato da un martire cristiano, vittima dell’ultima grande persecuzione messa in atto dall’imperatore Diocleziano, intorno al 303 d.C., una delle più cruente della storia dell’impero romano. Questo martire, che probabilmente non avrà mai un nome, rimane per sempre intrappolato nella pietra, nella memoria di Cagliari, nascosto tra le sue strade e sotto i suoi edifici.
Così, mentre il martire sprofonda nel silenzio della storia, il suo messaggio rimane scolpito per l’eternità, un legame invisibile tra il passato e il presente. Un frammento di fede, di speranza e di resistenza che, sebbene lontano nel tempo, riesce ancora oggi a raccontarci qualcosa di profondo e significativo sulla vita e sulla morte, sul sacrificio e sulla speranza in un futuro migliore. La storia di un uomo che non è mai stato dimenticato, il cui messaggio vive nascosto, ma vibrante, nel cuore della città.
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