Un drammatico incidente si è verificato questa mattina presto lungo la strada provinciale che collega Ussana a Serdiana, nei pressi del chilometro 9.600. Una moto, con a bordo due uomini, è uscita di strada all’altezza di una curva, causando la morte di uno dei passeggeri.

A perdere la vita è stato Mirko Farris, 37 anni, residente a Quartu Sant’Elena, deceduto sul colpo in seguito a un violento impatto con l’asfalto. In sella con lui c’era Roberto Sirigu, 39 anni, anch’egli di Quartu, che si trovava alla guida della moto Kawasaki coinvolta nello schianto. L’uomo è stato trasportato in gravi condizioni all’ospedale Brotzu di Cagliari, dove è attualmente sotto osservazione. Al momento del ricovero era cosciente, ma riportava lesioni multiple.

Sul posto sono prontamente intervenuti i soccorritori del 118 e i carabinieri del Nucleo Radiomobile di Dolianova. Le forze dell’ordine hanno avviato gli accertamenti per chiarire la dinamica dell’incidente, anche se dai primi rilievi sembrerebbe che il mezzo abbia perso aderenza proprio nel tratto curvilineo della strada, terminando la corsa fuori carreggiata. Nonostante il tempestivo arrivo dei sanitari, per Farris non c’è stato nulla da fare.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.