Giuseppe Sartorio, il Michelangelo dei morti e la sua bottega di via Sassari a Cagliari

Giuseppe Sartorio e la Sardegna, fucina delle sue opere immortali. Ribattezzato il “Michelangelo dei morti”, aveva l’incredibile capacità di tirar fuori dal marmo le emozioni e la storia dei personaggi che ritraeva.
Era capace di estrarre emozioni e storie dal marmo, restituendo vita a chi l’aveva persa. Giuseppe Sartorio, ribattezzato il “Michelangelo dei morti”, è stato uno degli scultori più rinomati dell’Ottocento nel campo della statuaria funebre e celebrativa. Nato nel 1854 a Boccioleto Valsesia, in Piemonte, da una famiglia poverissima, riuscì con il suo talento a costruirsi una carriera straordinaria, partendo come garzone di un intagliatore del legno fino a formarsi all’Accademia Albertina di Torino.
Ma è in Sardegna che Sartorio trovò il pubblico più appassionato e i committenti più danarosi. Nel 1885 sbarcò nell’isola per installare la celebre statua di Quintino Sella a Iglesias e da quel momento la sua carriera decollò: in pochi anni realizzò oltre un centinaio di sculture funerarie nei principali cimiteri sardi, tra cui quello monumentale di Bonaria a Cagliari, Oristano, Iglesias, Sassari e Cuglieri. Le sue opere, spesso intrise di un’intensa drammaticità, raccontano storie di dolore e amore eterno, come nel caso del celebre monumento a Efisio Devoto, detto Efisino, un bambino addormentato su una sedia con l’epitaffio struggente: “Cattivo! perché non ti risvegli?!”.
L’artista lavorò a lungo in Sardegna, lasciando opere indimenticabili come il monumento funebre a Giuseppe Todde, con la vedova immortalata in una posa rassegnata, quello del giovane Gastone Ciprietti o quello di Maria Ugo Ortu, nota come Mariuccia, ritratta nei minimi dettagli mentre si appoggia a una balaustra.

La Bottega di Giuseppe Sartorio il Michelangelo dei morti, foto dal gruppo Cagliari Tra Pssato e Presente
Ma ciò che rende ancora più affascinante la figura di Sartorio è la sua bottega ottocentesca di Cagliari, un vero laboratorio dell’immortalità. Una fotografia scattata il 19 marzo 1895, ritrovata in un archivio privato, lo ritrae nel suo atelier insieme ai suoi operai e modelli, tra cui alcuni bambini usati come riferimenti per scolpire figure angeliche o infanti addormentati. Nell’immagine si scorgono strumenti di lavoro, come un pantografo utilizzato per riportare sul marmo le forme di un calco in gesso, e alcune delle sue opere ancora in fase di realizzazione, tra cui la statua di Efisino Devoto.
Sebbene la sua carriera fosse già ben consolidata in Sardegna e nel resto d’Italia – con opere presenti nei cimiteri di Torino, Vercelli e nel Verano di Roma – la fotografia del suo atelier ha svelato dettagli inediti sulla sua tecnica e sul dietro le quinte della sua arte. Lo scatto rivela anche una possibile modella per la scultura di Mariuccia, una bambina in abiti borghesi sorprendentemente somigliante alla figura scolpita da Sartorio.
Dopo anni di successi, l’artista si trasferì a Roma, ma mantenne un legame costante con la Sardegna. La sua morte, avvenuta in circostanze misteriose nel 1922, è avvolta dal fascino del suo stesso mito: Giuseppe Sartorio scomparve durante una traversata in mare tra Olbia e Civitavecchia, a bordo del piroscafo “Tocra”. Il suo corpo non fu mai ritrovato, lasciando dietro di sé solo le sue opere scolpite nel marmo, eterne testimoni di una grandezza artistica che ancora oggi vive tra le strade e i cimiteri della Sardegna.

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