La storia di Irene, cagliaritana: vende il suo corpo per sopravvivere e mantenere suo figlio

Ringrazio, per avermi fatto conoscere Irene e la sua storia, i volontari dell’associazione Amici della Strada (il presidente Roberto Carrus, insieme ad Ignazio Puddu e Antonio Mura).
Ho trascorso una sera insieme ai volontari dell’associazione Amici della Strada, angeli che si occupano ogni giorno con estremo impegno, dedizione e sana allegria di aiutare chi ha più bisogno, tra le strade di Cagliari e hinterland. Abbiamo portato vestiario, coperte e una cena calda a chi, senza un tetto, una famiglia, un soldo in tasca, ogni giorno fa fatica a portare avanti la propria esistenza con dignità. Insieme ai volontari Antonio Mura e Ignazio Puddu ho conosciuto una parentesi della vita di tante persone, invisibili di giorno, ignorate di notte: qualcuna riuscirà a riprenderne in mano le redini, ma la maggior parte purtroppo no. La prima storia di cui vi racconto è quella di Irene.

Si inizia a riempire la busta con la cena: spaghetti caldi, frutta, acqua, paste di pasticceria, piadine appena cotte preparate da Antonio Mura, uno dei volontari.
Immagino che Irene abbia poco più di trent’anni e la sua esistenza è un equilibrio precario tra la sopravvivenza e la speranza. Per vivere, anzi per resistere, vende il suo corpo. La sua storia, come tante altre, non arriva da un ghetto di periferia o da una banlieue degradata di una metropoli: Irene è nata e cresciuta nella mia città, Cagliari, in uno di quei quartieri popolari dove oggi realtà opposte convivono fianco a fianco. Qui, la sua vita si intreccia con altre esistenze, più fortunate, più “normali”.
Irene ha un figlio, ma non vive con lei. Il suo tempo è scandito dagli appuntamenti con i clienti, anche se oggi sono sempre gli stessi: “Ormai ho solo gli affezionati, quelli di cui mi fido”, racconta con un sorriso forzato. Forse questo le permette di percepire il suo lavoro come meno opprimente, meno estraneo alla quotidianità. Forse è solo un modo per proteggersi dalla consapevolezza di una vita che non ha mai scelto davvero.
Eppure, se l’avessi incontrata per strada, non avrei minimamente sospettato nulla. Irene è simpaticissima, un vulcano di parole e di energia, capace di riempire una stanza con la sua presenza. I capelli lunghi e scuri, la corporatura formosa, le labbra ritoccate e le ciglia finte la rendono simile a tante altre donne che ogni giorno incrociamo nelle vie del centro, nei supermercati, sui social. Mi accoglie con ciabatte di orsetto teddy e un vestito succinto: “Dove vivo io c’è caldo”, mi dice con un sorriso ironico.
Ciò che mi colpisce di più forse, più che la sua storia, ma la sua apparente normalità. Irene è la ragazza della porta accanto, quella che potresti incontrare al bar o in fila alla posta. E questa consapevolezza lascia un senso di inquietudine: quante altre Irene attraversano le nostre giornate senza che ce ne accorgiamo? Quante volte le vediamo senza vederle davvero, senza immaginare cosa si nasconde dietro quel sorriso lucido di filler? Dietro la sua vitalità c’è il peso di una realtà dura, fatta di scelte obbligate, di povertà, di sogni infranti e di speranze sottili, almeno per il futuro di suo figlio.
Irene non si lamenta, non chiede pietà. Ma la sua esistenza parla da sola. E mentre la saluto, mi chiedo quante altre storie simili continueranno a passarmi accanto, silenziose e invisibili, senza che io ne colga nemmeno un frammento.
Ringrazio, per avermi fatto conoscere Irene e la sua storia, i volontari dell’associazione Amici della Strada (il presidente Roberto Carrus, insieme ad Ignazio Puddu e Antonio Mura).

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