Una cena in compagnia per segnare il ritorno di Marko Rog a Cagliari. Il centrocampista croato, rientrato in Sardegna dopo la fine del prestito alla Dinamo Zagabria lo scorso 31 dicembre, è stato accolto calorosamente dal capitano del Cagliari, Leonardo Pavoletti. È stato lo stesso Pavoletti a condividere sui social una foto della rimpatriata, che si è svolta ieri sera, sottolineando il legame tra i due giocatori.

Nonostante l’atmosfera conviviale, il futuro di Rog con il club rossoblù resta incerto. Dopo sei mesi trascorsi in patria con la maglia della Dinamo, il giocatore sembra destinato a lasciare nuovamente Cagliari. La squadra croata, infatti, sta già trattando per rinnovare il prestito con il club sardo, mentre l’entourage del centrocampista sarebbe impegnato in colloqui con la dirigenza di Tommaso Giulini per valutare la possibilità di una rescissione anticipata del contratto, attualmente in scadenza nel 2026.

Rog, che ha lasciato un segno importante durante la sua esperienza in Sardegna, è reduce da stagioni altalenanti, condizionate anche da problemi fisici. La prospettiva di un ritorno definitivo alla Dinamo Zagabria o di un’altra sistemazione potrebbe rappresentare una nuova opportunità per rilanciare la sua carriera.

Nel frattempo, i tifosi del Cagliari si interrogano sul destino del croato, che nelle ultime stagioni ha mostrato grande qualità ma non è riuscito a garantire continuità. Se sarà un addio definitivo o solo un arrivederci lo dirà il mercato, ma per ora Rog si gode l’affetto dei suoi compagni e il calore della terra sarda, che per lui ha sempre rappresentato una seconda casa.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.