La presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, ha trascorso le festività natalizie in famiglia, ma il suo pensiero è andato anche a chi vive queste giornate con il peso delle difficoltà lavorative e personali. In un messaggio condiviso, la governatrice ha sottolineato la sua vicinanza a lavoratori e cittadini in situazioni critiche, rinnovando il suo impegno istituzionale per sostenere chi ne ha più bisogno.

“Oggi penso a quanto sono fortunata a poter passare le feste di Natale con la mia famiglia. E nel frattempo penso a chi le sta passando con la preoccupazione del lavoro”, ha dichiarato Todde. Tra coloro che hanno ricevuto il suo pensiero, le lavoratrici e i lavoratori di Glencore, che la presidente incontrerà il prossimo 27 dicembre per discutere delle loro problematiche.

Un messaggio che si estende anche a chi affronta difficoltà di salute o si trova in condizioni di limitata libertà: “Riportare speranza a chi ne ha poca o addirittura l’ha persa non è facile. Ma quando ho accettato l’incarico di essere la Presidente di tutti i sardi ho anche abbracciato il compito di non lasciare che la speranza venga meno”.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.