L’esperimento della dottoressa Claudia Murru: si traveste da senzatetto per osservare le reazioni delle persone

"Questo esperimento ha rafforzato la mia convinzione che sia urgente promuovere iniziative che favoriscano la socializzazione e il contatto umano", scrive la dottoressa.
Si chiama Claudia Murru, è cagliaritana e di professione fa il medico. Ispirata nel look dalla figura della “Signora dei piccioni” del celebre film Mamma ho perso l’aereo, decide di condurre, nell’affollato sabato prima di Natale, un esperimento sociale per offrire uno spaccato delle dinamiche relazionali nella società odierna. Vestita con un costume da clochard, completo di piccioni finti, ha passeggiato per le affollate strade della città in una serata di grande fermento e socialità. Ecco cosa ha “scoperto”.
“L’esperienza si è rivelata illuminante, ma anche preoccupante. Ho osservato un quadro sociale dominato da distacco, giudizio e paura, con poche eccezioni che mi hanno regalato momenti di speranza”.
“La reazione più comune che ho incontrato è stata l’indifferenza. I passanti evitavano di incrociare il mio sguardo, mantenendo una distanza emotiva che nemmeno un mio sorriso o un gesto di saluto riuscivano a infrangere. Questa freddezza suggerisce una difficoltà diffusa nel lasciarsi andare alla leggerezza e all’umorismo spontaneo. Come se esistesse una barriera emotiva che impedisce alle persone di connettersi, anche solo attraverso una risata”.
“Molti hanno reagito con giudizio, dimostrando quanto sia radicata la tendenza a classificare gli altri in base all’apparenza. Un comportamento non convenzionale, seppur innocuo, sembra sufficiente a scatenare sospetto e disapprovazione. Questo atteggiamento riflette una società che fatica ad accogliere la diversità, preferendo etichettare e marginalizzare chi non si conforma alle aspettative”.
“Un aspetto che mi ha colpita profondamente è stata la reazione di paura. Alcuni passanti sembravano intimoriti dai piccioni, nonostante fossero evidentemente finti. Ma al di là delle fobie personali, ho percepito una paura più generale verso tutto ciò che è percepito come “strano” o “differente”. Non ho potuto fare a meno di collegare questa reazione allo stigma e all’emarginazione che spesso vivono le persone con demenza, un tema che mi sta particolarmente a cuore come professionista della salute”.
“In questo panorama di distacco, sono state due categorie sociali spesso marginalizzate a offrirmi momenti di autentica connessione: gli anziani e i senzatetto. Gli anziani si sono avvicinati con curiosità, scambiando battute e sorrisi. Forse conservano il dono dello stupore e il ricordo di un’epoca in cui le interazioni erano più dirette e genuine. I senzatetto, dal canto loro, sembrano aver sviluppato una maggiore empatia, probabilmente frutto della loro esperienza di vita ai margini della società”.
“Tra i bambini che ho incontrato, solo uno si è avvicinato, attratto dai piccioni. Questo dato mi ha fatto riflettere su quanto anche i più piccoli possano essere influenzati dal contesto sociale in cui crescono. L’esperimento ha messo in luce l’incapacità di molti di gestire le dinamiche relazionali dirette. In un mondo sempre più connesso virtualmente, sembra che stiamo perdendo la capacità di relazionarci autenticamente. I social media, sebbene offrano un’illusione di vicinanza, non possono sostituire la profondità e la sincerità delle interazioni faccia a faccia”.
“Da tempo porto avanti una campagna di sensibilizzazione per il recupero del senso di comunità, in particolare a favore delle persone anziane. Questo esperimento ha rafforzato la mia convinzione che sia urgente promuovere iniziative che favoriscano la socializzazione e il contatto umano. Attività di gruppo, eventi comunitari e spazi di aggregazione sono fondamentali per ricostruire il tessuto sociale e combattere l’isolamento”.
“Tornando a casa, ho lavato via trucco, parrucco e pregiudizi, ma mi è rimasto il desiderio di contagiare sorrisi agli sconosciuti. Spero che questo piccolo esperimento possa essere uno spunto di riflessione per tutti: impariamo a sorridere a chi ci sorride, a lasciare spazio alla leggerezza e a riscoprire il valore delle connessioni autentiche. La solitudine e l’alienazione sono emergenze sociali che riguardano tutti noi. Ripartiamo da un sorriso”.

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