La storia de “Su Sereniccu”, il cappotto della Cagliari bene usato nell’Ottocento
Scopriamo insieme da dove arriva questo elegante cappotto, vero must per l'epoca, utilizzato dai nobili e dai ricchi nella Cagliari e nella Sardegna meridionale del periodo sabaudo.
La storia de “Su Sereniccu”, il cappotto della Cagliari bene usato nell’Ottocento.
Scopriamo insieme da dove arriva questo elegante cappotto, vero must per l’epoca, utilizzato dai nobili e dai ricchi nella Cagliari e nella Sardegna meridionale del periodo sabaudo.
Su Sereniccu (o Serenicu) era un tipo di cappotto marrone scuro realizzato con un panno di lana, con cappuccio e con una fodera interna morbida simile al velluto, realizzato con un tessuto chiamato pilurzus. nella seconda metà del Settecento e nell’Ottocento diventò elemento fondamentale nel costume maschile campidanese in particolare nel costume di Quartu S’Elena. Era usato solo dalle persone facoltose, mentre i poveri si limitavano a portare su saccu nieddu, e la classe media su gabbanu, entrambi cappotti in orbace.
Il cappotto ha origini greche e fu importato in Sardegna dall’antica famiglia ellenica degli Staico, giunti nell’Isola nella seconda metà del 1700. Secondo gli studi effettuati Carlo Pillai ricercatore tecnico scientifico dell’Archivio di Stato di Cagliari, il primo ad espatriare in Sardegna fu Antonio Staico, residente in città dove svolse l’attività sartoriale, dando così origine alla tradizione degli antichi sarti greci.
Nella storia della famiglia Staico è necessario sicuramente ricordare una sentenza lavorativa del 1826, che vide i i sarti greci e i sarti sardi che detenevano lo statuto del Gremio fronteggiarsi burocraticamente per stabilire chi fosse il primo ad aver ideato il cappotto in questione. La sentenza stabilì che il primo dei sarti che realizzò Su Sereniccu fu Antonio Staico. Marinella Staico, stilista e discendente dalla famiglia di sarti, ha ricostruito la storia, grazie anche al già citato Carlo Pillai.
La prima comunità arrivata a Cagliari dalla Grecia era formata da circa 20 persone (le prime 4 intorno al 1775).
La piccola colonia di sarti greci arrivata dall’Epiro abitava e operava nel quartiere della Marina e in Sa Costa (l’attuale via Manno) iniziò una produzione locale. Gli studiosi Alziator, Luciano Baldassare e De Gregory stabilirono che il cappotto arrivasse da Salonicco, persino Wagner se ne interessò, supponendo che arrivasse dalla Spagna.
Ma fu la tesi di Lamarmora, poi ripresa dall’Alziator e del resto accolta dalla maggior parte degli studiosi che ebbero ad occuparsi dell’argomento, nelle fonti documentabili presso l’Archivio di Stato di Cagliari si rivelò consistente per la causa civile di cui abbiamo già detto, che vide contrapporsi da una parte il Gremio dei sartori della città di Cagliari e dall’altra una schiera di imprenditori greci tutti definiti cappottari.
In un elenco appaiono 20 greci 13 dei quali risultano artigiani e commercianti domiciliati a Sa Costa, oggi via Manno.
Tra questi vi fu Anastasio Staico il quale in base anche alle deposizioni di due teste, un certo Antonio Ignazio Cau e Giuseppe Madeddu di Busachi, venne accertato come figlio del primo dei greci che si stabilirono a Cagliari e vi piantò bottega. Il padre di Anastasio Staico, infatti, nell’anno 1775 per la prima volta introdusse la lavorazione dei Sereniccu, dato che anticamente non se ne conoscevano a Cagliari se non importati “ossia belli e fatti dai Maltesi” attraverso i porti di Livorno e Napoli.
I gremi erano le antiche corporazioni di arti e mestieri, a cui qualunque artigiano doveva aderire. C’era dunque il Gremio dei Calzolai, quello dei Muratori, quello dei Falegnami e, naturalmente, anche quello dei Sarti.
I commercianti greci, invece, svolgevano i loro affari autonomamente, senza i pesanti vincoli delle associazioni di mestiere e, contro la prassi dell’epoca, assumendo chiunque, anche le donne. Forse fu proprio questa la ricetta del loro successo: intraprendenza, incuranza delle regole, e indiscusso fiuto per gli affari.
I sarti cagliaritani, come è facile prevedere, non videro di buon occhio l’arrivo della concorrenza straniera, ma inizialmente sottovalutarono il problema. In pochi decenni però il mercato greco si estese: il nuovo modello di cappotto venivano indossato da tutti gli uomini, a Cagliari e dintorni, fino a diventare elemento distintivo di molti costumi tradizionali campidanesi. Nel giro di pochi anni, i proprietari delle sartorie cagliaritane avevano quasi tutti cognomi ellenici (come Paxì, Asterios, Kimì, Anghelopoulos o Kostas) e si arricchivano a dismisura, mentre gli artigiani cagliaritani quasi ormai non battevano più cassa.
La causa si concluse quindi con la vittoria dei greci capottari, sentenza emessa dalla Reale Udienza, la massima magistratura dell’Isola in data 8/11/1826: i sarti greci vennero assolti dall’accusa di esercizio abusivo della professione.
Ad un certo punto la materia prima per la realizzazione del cappotto venne a mancare, a causa della guerra greco-ottomana, i cappottari greci sfruttarono le proprietà dell’orbace per realizzare cappotti alternativi e modelli di linea sarda.
A maniche lunghe e con ampio cappuccio, su sereniccu scendeva fino a coprire il polpaccio ed era privo di abbottonatura. Talvolta era bordato di velluto e realizzato con preziose rifiniture. Nella parte presentava una cucitura a trapunto. Anteriormente era guarnito con finte tasche realizzate ad intarsio unendo pezzi di velluto. Queste guarnizioni, presenti anche alle estremità inferiori del cappotto, erano contornate da un cordoncino colorato. Il cappotto poteva presentare ulteriori decorazioni, a seconda della zona.
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