Accadde oggi. 4 ottobre 1987: Antonia Mesina viene beatificata da Papa Giovanni Paolo II
Accadde oggi. 4 ottobre 1987: Antonia Mesina viene beatificata da Papa Giovanni Paolo II
Accadde oggi. 4 ottobre 1987: Antonia Mesina viene beatificata da Papa Giovanni Paolo II
Foto Sardegna Digital Library
Antonia Mesina, cugina del più noto Graziano, il 17 maggio 1935 fu massacrata nella sua Orgosolo per non aver ceduto a un tentativo di violenza. Aveva solo 16 anni.
Il 4 ottobre 1987piazza San Pietro fu riempita da migliaia di sardi, accorsi a Roma per la beatificazione di Antonia Mesina da parte di Papa Giovanni Paolo II.
Antonia Mesina, cugina del più noto Graziano, il 17 maggio 1935 fu massacrata nella sua Orgosolo per non aver ceduto a un tentativo di violenza. Aveva solo 16 anni. «Il cronista dell’evento – si legge su Sardegna Digital Library – collega il sacrificio della Maria Goretti sarda alla lotta del popolo orgolese, che a Pratobello cercò d’impedire l’occupazione dei pascoli con le basi militari. Il rifiuto della sopraffazione e della violenza sono state le motivazioni fondamentali per la reazione del popolo e della giovane Antonia».
Trentatre anni fa fa si svolse così a San Pietro una vera festa di popolo con migliaia di orgolesi giunti per rendere omaggio alla compaesana beatificata. Tra i presenti anche l’allora presidente della regione Sardegna Mario Melis, il sindaco del paese barbaricino Giovanni Moro e il parroco Antonio Colombu, oltre ad alcuni fratelli della beata e la testimone del massacro Annedda Castangia.
Buon compleanno, Campione: 7 novembre, oggi Gigi Riva avrebbe compiuto 80 anni
Oggi sarebbe stato il compleanno del più grande calciatore che il Cagliari abbia mai avuto. Il ricordo di un bambino poi diventato grande, davanti al suo "Eroe" di quegli anni.
Buon compleanno, Campione: 7 novembre, oggi Gigi Riva avrebbe compiuto 80 anni.
Non ho mai visto giocare Gigi Riva. Quando da bambino mi avvicinai al calcio, lui aveva appena smesso, stanco e triste dopo l’ennesimo grave infortunio. Gli ho sempre voluto bene, come se fosse un’entità divina, una sorta di capostipite da adorare in famiglia. Da bambino abitavo nel quartiere di San Benedetto e spesso capitava di incontrarlo: in via Satta, dove abitavo, c’era e c’è un piccolo parcheggio, incastrato tra i palazzi, dove (allora si giocava ancora in mezzo alla strada) io e altri quaranta bambini rincorrevamo un pallone in partite che non finivano mai.
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Riva andava a trovare il suo commercialista in un palazzo vicino. Quando arrivava lui, Rombo di Tuono, le partite si fermavano. Timidamente (io), più sfrontatamente (gli altri) gli si faceva incontro per un autografo, una parola, un gesto di ammirazione. E lui, seppur serioso e compassato al limite dello scontroso, aveva sempre dei modi gentili, soprattutto nei confronti dei più giovani. È stato (ed è) un mito. Soprattutto adesso. Mi sembrava strano che un giocatore di quella levatura potesse abitare a Cagliari, una città abbastanza marginale, soprattutto negli anni Settanta. Non avendolo mai visto sul campo, nel tempo mi sono documentato, fagocitavo articoli e ritagli di giornale che riguardavano le sue gesta. Rimasi impressionato dai numeri che giravano attorno a Riva: 42 partite (pochissime) in Nazionale, 35 gol (mai nessuno è riuscito a fare meglio, una cosa assurda se si pensa quanto si giochi adesso), una promozione dalla B alla A, uno Scudetto, per tre volte ha vinto la classifica dei cannonieri in serie A, si è classificato una volta secondo e una volta terzo nella graduatoria per il Pallone d’Oro, con la maglia della Nazionale ha vinto un Campionato d’Europa ed è arrivato secondo ai Mondiali del 1970 in Messico.
Da dirigente azzurro è stato Campione del Mondo nel 2006. In serie A ha realizzato 156 reti in 289 partite, con una media gol di più di una rete ogni due gare (più precisamente 0,54 gol a partita – come Beppe Signori – meglio come media, tra quelli che lo precedono come reti realizzate, hanno fatto solo Gunnar Nordahl, Giuseppe Meazza e Gabriel Batistuta). Ha ricevuto il Collare d’Oro, massimo riconoscimento sportivo in Italia. Nonostante tutto, Riva è sempre stato lo stesso. Solitario, ombroso: lo stesso ristorante da una vita, le stesse persone, gli stessi incontri, le stesse azioni quotidiane, da quando abbandonò il calcio giocato e poi, quello da dirigente.
Quando da bambino guardavo le sue foto rimanevo incantato: la sua elevazione, i suoi movimenti in campo ricordavano quelli di un eroe omerico, così diverso dai giocatori attuali. Più avanti scoprii anche che quell’uomo aveva avuto un’infanzia difficile (perse i genitori giovanissimo) e che soprattutto aveva un cervello, una dignità, un pensiero che andavano ben al di là delle semplici giocate calcistiche. Quell’uomo era un lombardo diventato sardo. Rispettoso, vicino ai bisogni di un popolo, quello isolano, che non ha mai avuto tantissimi motivi per essere felice. Povero da ragazzo, non si dimenticò mai delle sue origini. Per questo rimase sempre, da giusto, dalla parte dei deboli, dei bisognosi, delle persone senza ambizioni (lui stesso, al di là del personaggio, era una persona senza grandi ambizioni). Un uomo. Quando arrivò giovanissimo (e tifoso interista), in un aeroporto di Elmas che assomigliava più ad una pista di atterraggio per ultraleggeri, nel 1963 pensò subito di scappare. Precedentemente aveva giocato solo con il Laveno Mombello, sul lago Maggiore, squadra del paese che si trovava accanto al suo (Leggiuno), dove faceva anche il meccanico, e con il Legnano, in serie C. Non se ne andò mai più. Non ascoltò mai le sirene delle grandi squadre che avrebbero fatto follie per averlo. Ha sempre voluto il Cagliari. E così è stato. Sino alla fine.
In campo era una forza della natura: mancino naturale, giocava con la maglia numero 11, agiva sulla sinistra per poi accentrarsi. Tiro terrificante, doti aeree impressionanti, Riva aveva un coraggio eccezionale. I tifosi del Cagliari e della Nazionale lo adoravano, i tecnici, gli avversari, i compagni di squadra lo rispettavano. Gianni Brera per lui coniò il soprannome “Rombo di Tuono”, mentre i i tifosi del Cagliari lo chiamavano “Arrogadottu” (“Rompitutto”).
Un giocatore fantastico, emozionante, commovente. Come pochi altri. La sua vita, le sue difficoltà iniziali, la sua esplosione, le sue vittorie, i suoi incidenti, la sua rinascita hanno un sapore epico. Quando da ragazzo lessi sulla Gazzetta dello Sport Illustrata le sue gesta rimasi folgorato: per me Riva non aveva nulla da invidiare a Ulisse, Achille, Ettore e a tutti quelli eroi omerici che riempivano i miei pensieri da bambino prima di addormentarmi. Oggi Riva avrebbe compiuto 80 anni. Da giornalista mi è capitato qualche volta di avere a che fare con lui, per un’intervista o un pensiero su qualche personaggio legato al “suo” Cagliari. Poche volte aveva avuto modo di aprirsi: ha sempre preferito interagire e sorridere con le persone a lui vicine, le persone care o quelle umili, del popolo, della vita. Per le quali ha sempre avuto una predilezione. Come Fabrizio De Andrè, che Riva ammirava, ricambiato.
Da quasi un anno Riva non c’è più, i suoi ultimi anni di vita sono stati riempiti dalle cose “piccole” (ma “grandissime”), le cose di un uomo anziano, i figli, le nipotine, la semplicità. Semplicità che è sempre stata un suo credo (Zeffirelli gli offrì persino il ruolo di San Francesco, che rifiutò immediatamente). Quando vinse lo Scudetto con il Cagliari fece felice un intero popolo. I Sardi, grazie a lui, in parte, interpretarono quella vittoria sportiva come un riscatto. Non cambiò mai, nemmeno davanti a lusinghe politiche o pubblicitarie. Preferì restare dalla parte dei pastori, degli operai in cassa integrazione, degli emigrati per necessità. Ecco perché adesso è diventato “Leggenda”. Un allenatore della Nazionale juniores disse: «Riva mette la testa dove gli altri fanno fatica a mettere i piedi». Buon compleanno, Campione, ovunque tu sia.
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