«Mi hanno stuprata, ma sono rinata»: la cagliaritana Simona Deiana racconta il percorso di rinascita dopo l’incubo
Sono i primi anni Novanta quando Simona è con il fidanzato dell’epoca, sono appartati e in cerca di un po’ di intimità. Ma quello che dovrebbe essere un momento di amore diventa un inferno: arrivano tre uomini incappucciati e armati. Li fanno scendere. Li rapiscono, li derubano e – ahimè – alla ragazzina tocca la sorte peggiore: per lei viene scelto lo stupro. La sua storia di rinascita
“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto. L’onore lo perde chi fa certe cose, non chi le subisce”.
Questa citazione di Franca Viola – che, nel contesto siculo degli anni Sessanta, fu la prima a ribellarsi al matrimonio riparatore dopo uno stupro – è quella giusta per accompagnare questo racconto. Perché? Perché Franca Viola, giovane ma determinata, è stata una donna che ha cambiato il mondo, l’unica a essersi opposta con tutto il cuore e tutta l’anima a una violenza e a essersi ripresa, dopo quell’amara vicenda, la propria vita, sposandosi con l’amore della sua vita e non limitandosi a vivere nel passato, ma costruendo un futuro meravigliosa.
Simona Deiana, artista 50enne cagliaritana, è una di queste donne meravigliose che, con coraggio e tenacia ma soprattutto amore verso la vita, hanno vissuto un inferno riuscendo non solo a sopravvivere… ma a vivere appieno, cogliendo ogni singola meraviglia della vita, facendo della propria esistenza un capolavoro. Ed ecco perché, secondo me, Simona e Franca hanno tanto in comune: pur essendo giovanissime quando hanno conosciuto il lato più oscuro dell’essere umano, dell’uomo nella fattispecie, hanno deciso di non farsi piegare, nossignore, ma di lottare – unghie e denti – per riprendersi i colori del mondo senza che perdessero intensità. Senza che diventassero cupi, spenti.
Sono i primi anni Novanta quando una Simona 19enne è con il fidanzatino dell’epoca. Sono appartati, com’è normalissimo per una giovane coppietta che vuole passare un sabato sera d’amore. Ma presto quello che dovrebbe essere un momento di gioia, di intimità, diventa un inferno.
Arrivano tre uomini incappucciati e armati. Li fanno scendere. Li rapiscono, li derubano e – ahimè – alla ragazzina tocca la sorte peggiore: per lei viene scelto lo stupro. Con una lucidità disarmante, chiede tre cose: che non la mettano a rischio di gravidanza, che non vengano picchiati e che il suo fidanzato non assista alla violenza. Non è il primo attacco della banda, ma sarà l’ultimo.
«Avevo una sete di giustizia che andava oltre il senso di colpa e la paura delle conseguenze» racconta Simona.
Sì, perché i tre mostri li minacciano: «Se dite qualcosa, siete morti» spiegano ai due, prima di lasciarli andare. Ma Simona non si ferma. Non si mette in un angolo. Lei non vuole limitarsi a sopravvivere, lei che ama la vita così profondamente e in maniera così frizzante vuole assolutamente, appunto, vivere, senza se e senza ma. Libera.
Non ha alcun dubbio: la denuncia è d’obbligo. Sarà un percorso lungo, lo sa, e persino doloroso, ma è l’unico modo per riprendere in mano le redini di tutto e poterne uscire. E in questo cammino impara anche una cosa importante: non bisogna edulcorare, come siamo solite fare noi donne, quello che ci succede di brutto. Ecco, lei in quel periodo chiama quel che è accaduto quella terribile sera “rapporto” o “violenza” ma impara – grazie alla PM, la dottoressa Marinelli – che la parola giusta è “stupro”. Una parola forte per indicare un qualcosa di forte e assurdo e bestiale.
STUPRO. STUPRO. STUPRO.
Stupro che non è solo atto ignobile, incubo, ma anche rischio di gravidanze e malattie. Per questo, fece quel patto con i suoi aggressori.
La squadra mobile di Cagliari e i Carabinieri, che già erano in moto grazie ad alcune intercettazioni, riescono a catturarne due su tre: i due omertosi non fanno il nome del terzo, che rimane in libertà, ma Simona sa che riuscirà ad andare avanti. È frizzante, vivace e ha una voglia di brillare incredibile.
«Pensavo: magari mi guarda e vede una donna che è andata avanti, che ha fatto le sue scelte. Mi ero ritirata da scuola dopo il trauma, ma poi mi sono nuovamente iscritta e diplomata. Mi sono sposata, ho avuto un figlio meraviglioso, e poi separata» racconta, con allegria, la stessa che la contraddistingue. «E poi persino risposata e con mio marito ho onorato nuovamente le promesse dopo tanti anni. Mi sono realizzata a livello lavorativo.»
Adesso, Simona ringrazia chi l’ha aiutata nel cammino verso la giustizia, tra cui il dottor Fanti, allora Vice della Mobile, con cui ha un’amicizia di trent’anni ed emana forza da tutti i pori. Forza e amore per la vita, la stessa che tre bifolchi volevano rubarle ma senza riuscirci: ed è proprio per questo che le donne come Simona potranno cambiare il mondo.
Ah, ha deciso di non giudicare le scelte delle persone – che poi non è una forma di perdono? –, di compiere quest’atto d’amore verso se stessa. «Quando sono tornati in libertà mi venne chiesto se avessi sete di vendetta, ma non è questo il mio desiderio: tengo troppo a me stessa per immergermi di nuovo in tutto questo. Ero troppo felice per ritornare in quel buio. Il rancore avvelena l’anima di chi ha subito un torto.»
Molto meglio andare avanti, cibarsi di meraviglia ogni giorno, fare della propria giornata un quadro – o un disegno. E guardare sempre avanti, con la testa alta tipica della Donna sarda, che è capace di mille e più miracoli.
«Dovete amarvi» dice alle donne, «e mai bloccarvi. Io vi consiglio, in questi casi, la denuncia sempre. Ma se anche decidete di portarvi dietro questo segreto nella tomba, be’, decidete di vivere e non di sopravvivere.»
Ora la 50enne disegna su carta e nei suoi lavori ci sono sempre dei colori stupendi, pieni, brillanti. Simona disegna sempre al femminile: dee, guerriere, donne forti che sanno andare avanti saltando gli ostacoli che la vita dà. Donne che sono consapevoli del proprio valore, che sanno che devono prendere la strada che vogliono, seguire i propri sogni e le proprie inclinazioni. E non sembrano mai arrabbiate le donne che disegna, ma sono quiete, hanno trovato la propria dimensione.
Ah, ed è importante da dire che Simona Deiana ha un sorriso contagioso. Niente in quel sorriso fa presagire la bruttezza della vita che, poco più che bambina, è stata costretta a subire: niente, abbiamo detto, proprio perché lei ce l’ha fatta. A rinascere, come le fenici fanno dalle proprie ceneri. Ha scelto un lavoro che le piace, che la fa sentire bene, e ha deciso di strutturare ognuna delle 24 ore della sua giornata a stare bene con se stessa, facendo stare bene anche gli altri. Una forza della natura: ecco cos’è. Che vede nel passato anche un perché.
Quando la si incontra, si capisce quanto per lei vivere ogni giorno al meglio, cogliendo ogni barlume di bellezza, sia importante. E ha amore per tutti. «Il cuore può dare tanto, ha tante stanze. C’è spazio per tutti.»
Perché la vita è dura ma anche profondamente bella, soprattutto se sei stata così coraggiosa e tenace di ribellarti al sistema che ti vuole zitta e in un angolo, a subire senza mai una lamentela: proprio quello che ha fatto lei, esempio per tutte noi.
E Simona cita per ultimo una tecnica giapponese stupenda: «Quando si rompe un vaso che era bellissimo, loro lo riparano con una resina che uniscono all’oro. Ecco che un vaso che era bellissimo, dopo la rottura, diventa ancor più bello: è così che mi dovete vedere, come un vaso che ha delle cicatrici dorate.»
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