Su tzilleri, il bar con la vera anima della Sardegna
Nessuno può definirsi sardo se, almeno una volta nella vita, non si è recato a consumare una birra (rigorosamente isolana, bionda e da 66 cl) in uno degli tzilleri di Sardegna...
Provate a trovare la traduzione della parola come meglio potete ma nessun Google translate o interprete sardo/italico potrà mai scovare quella che combaci alla perfezione con “tzilleri”. Potremmo definirlo bar, locanda, rivendita di alcolici, bettola: ma è di sicuro uno di quei luoghi che, possedendo un’anima sono “lost in translate”, persi nella traduzione, intraducibili alla lettera.
Per quanto poi non possa vantarsi di possedere un’estetica riconducibile a ciò che oggi consideriamo come franchising, lo tzilleri ha però delle peculiarità di stile ben definite che, dal Sud al Nord dell’Isola sono sempre le stesse: sedie in plastica risalenti di solito agli anni 70-80, coperture alle pareti in listoni di legno, insegne Ichnusa in ogni angolo, vintage o meno, alcolici in bella vista di quelli che ormai non si crede più neanche esistano, come il vov, vari all’anice, il più famoso con l’effigie del carciofo nella bottiglia.
E’ uno dei posti che hanno vita fin dal mattino: popolato di solito da anziani che sembrano quasi vivere sempre lì, che leggono il giornale di carta, quello da sfogliare, quello che quasi ormai nessuno più compra, ossessionati come siamo dalla ricerca all’ultimo secondo sugli smartphone. I loro discorsi, spesso frammenti di racconti, “murrungi” o semplici considerazioni sulla vita, variano dai cantieri appena partiti e mai conclusi lungo le strade del paese ai tramezzi, intonaci, solai. Qualche incursione calcistica e tutto si riordina con l’ennesima bionda da 66cl.
E che nessuno si definisca sardo se, almeno una volta nella vita, non si è recato a consumare quella stessa birra (rigorosamente isolana, bionda e da 66 cl) in uno degli tzilleri di Sardegna.
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