La partecipazione sarda alle Olimpiadi è una storia di perseveranza e successi, iniziata nel 1912 e costellata di imprese leggendarie. Nonostante una lunga tradizione, gli atleti sardi hanno conquistato complessivamente poche medaglie, ma ognuna di esse ha un valore inestimabile, testimoniando il talento e la determinazione di questi sportivi.

Da sinistra in alto: Dalia Kaddari, Alessia Orro, Stefano Oppo, Lorenzo Patta, Sergio Massidda, Nicola Bartolini, Filippo Tortu

1912 (Stoccolma): Francesco Loy, ginnasta cagliaritano, vince l’oro nel concorso a squadre. Loy partecipa anche ai Giochi di Anversa nel 1920, dove vince un altro oro a squadre insieme a Michele Mastromarino, anch’egli di Cagliari.

1924 (Parigi): Carlo Clemente, giavellottista sassarese, partecipa alle Olimpiadi, ma viene eliminato nelle qualificazioni.

1932 (Los Angeles): Francesco Cossu, canottiere di Santulussurgiu, vince una medaglia di bronzo nel “quattro senza”.

1936 (Berlino): Gavino Matta vince l’argento nel pugilato peso mosca, con una controversa decisione dei giudici che gli nega l’oro. Renzo Bonivento partecipa nell’equitazione senza raggiungere il podio.

1948 (Londra): Tonino Siddi vince il bronzo nella staffetta 4×100, e Gianni Zuddas ottiene l’argento nel pugilato peso gallo.

1952 (Helsinki): Cinque atleti sardi partecipano, ma nessuna medaglia viene vinta.

1956 (Melbourne): Sebastiano Mannironi partecipa nella pesistica, mentre Salvatore Oppes vince l’argento nel salto a squadre di equitazione.

1960 (Roma): Un record di 14 atleti sardi partecipano, con due medaglie di bronzo: Sebastiano Mannironi nella pesistica e Tonino Oppes nell’equitazione a squadre.

1964 (Tokyo): Fernando Atzori vince l’oro nel pugilato pesi mosca e Paolo Angioni l’oro nell’equitazione a squadre.

1968 (Città del Messico): Sette atleti sardi partecipano, incluso Mario Medda nel pentathlon.

1972 (Monaco): Sette atleti sardi partecipano.

1976 (Montreal): Quattro atleti sardi partecipano.

1980 (Mosca): Due atlete sarde partecipano, segnando la prima presenza femminile della Sardegna ai Giochi.

1984 (Los Angeles) e 1988 (Seul): La partecipazione sarda si mantiene rispettivamente con due e quattro atleti.

1992 (Barcellona): Una sola atleta rappresenta la Sardegna.

1996 (Atlanta): Quattro atleti partecipano, principalmente nell’atletica.

2000 (Sydney), 2004 (Atene), 2008 (Pechino): La presenza sarda è ridotta a un solo atleta per edizione.

2012 (Londra): Due atleti partecipano.

2016 (Rio): Sei atleti rappresentano la Sardegna.

2021 (Tokyo): La delegazione sarda raggiunge 11 atleti, con Filippo Tortu e Lorenzo Patta che vincono l’oro nella staffetta 4×100 e Stefano Oppo che conquista il bronzo nel doppio pesi leggeri di canottaggio.

2024 (Parigi): Fra i rappresentanti del Tricolore sono otto gli atleti sardi presenti in queste Olimpiadi. Per ora abbiamo avuto Stefano Oppo a conquistare l’argento nel doppio pesi leggeri di canottaggio e Marta Maggetti con uno splendido oro nel windsurf.

In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.

Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.

L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.

Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.

Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.