A Cagliari via Napoli era “s’arruga de is Moras”: quando anche i sardi facevano i pirati nel Mediterraneo

Pochi sanno, forse, che questa strada, attraversata da file di turisti nelle mattine estive, era un "ghetto" di mori tenuti in schiavitù. Così come, in generale, tutto il rione Marina, a stretto contatto con il mare, i suoi tesori e purtroppo anche i suoi bottini, frutto di saccheggi ai danni di altri popoli.
Oggi è una delle più importanti “terre” di movida del centro cagliaritano. Alla Marina, infatti, i profumi di cucina e tradizione aleggiano per tutto il quartiere. E via Napoli non è certamente da meno, con la sua ricchezza di ristoranti e trattorie, insieme a negozi tipici.
Pochi sanno, forse, che questa strada, attraversata da file di turisti nelle mattine estive, era un “ghetto” di mori tenuti in schiavitù. Così come, in generale, tutto il rione Marina, a stretto contatto con il mare, i suoi tesori e purtroppo anche i suoi bottini, frutto di saccheggi ai danni di altri popoli.
Come riportato dunque dal capolavoro di Francesco Alziator, “L’Elefante sulla Torre”, nella via Napoli esisteva in tempi lontani la cosiddetta Moreria , luogo in cui venivano concentrate le schiave more. Ecco dunque che anticamente questa via era nota come “s’arruga de is Moras”.
Sembra infatti, sempre come riportato dall’Alziator, che ai tempi in cui i corsari barbareschi imperversavano nell’Isola, portando sciagure e saccheggi, rapendo donne e bambini, i sardi in qualche modo restituissero la pariglia. Alla stregua di quella saracena, dunque, esisteva anche una pirateria sarda, mirata alla cattura di africani e alla loro vendita sul mercato cagliaritano.
Un enorme minatore osserva intensamente i passanti in un paese della Sardegna: dove ci troviamo?

Il protagonista del murale di 38 mq è un minatore, ritratto nel momento in cui si avventura in una nuova dimensione. La sua unica fonte di luce è la lampada a carburo, che illumina appena il percorso davanti a lui.
Nel cuore di Silius, un piccolo paese immerso nel paesaggio montano del Gerrei, è nata un’opera d’arte che racconta una storia fatta di fatica, coraggio e trasformazione. Il murale realizzato dall’artista Patta è molto più di una semplice decorazione urbana: è un tributo potente e suggestivo alla memoria dei minatori che per decenni hanno costituito l’anima economica e sociale di questa comunità.
Dal dopoguerra fino ai primi anni 2000, la vita a Silius era profondamente intrecciata con l’attività estrattiva: la fluorite, minerale prezioso per l’industria, veniva scavata dalle viscere della terra da uomini che ogni giorno lasciavano le loro campagne per calarsi nel buio delle miniere. Ed è proprio questo passaggio — da una vita all’aria aperta a una realtà sotterranea — che Patta ha scelto di raccontare attraverso un linguaggio visivo intenso e simbolico.
Il protagonista del murale è un minatore, ritratto nel momento in cui si avventura in una nuova dimensione. La sua unica fonte di luce è la lampada a carburo, che illumina appena il percorso davanti a lui. Intorno, sospesi nell’aria, fluttuano venti minerali: non solo a evocare l’essenza dell’ambiente minerario, ma anche come omaggio ai venti uomini che hanno perso la vita nelle gallerie di Silius. Ogni minerale è una presenza simbolica, fragile e quasi onirica, a testimonianza del rischio costante e dell’instabilità vissuta da questi lavoratori.
Eppure, nonostante la durezza del tema, l’opera non è cupa. Il minatore non appare schiacciato dal peso della miniera, ma al contrario, sembra animato da una curiosità quasi infantile. L’ambiente che lo circonda, sebbene incerto, è anche magico: un nuovo mondo da scoprire, dove il buio non è solo paura, ma anche mistero e possibilità.
Realizzare il murale è stato possibile grazie all’impegno dell’Associazione Minatori a Memoria del Gerrei e al Comune di Silius, con il prezioso supporto di tutta la comunità. Un gesto collettivo che dimostra quanto il passato di un luogo possa ancora essere presente, vivo, e degno di essere raccontato.

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