Una giornata a scuola di pane da Porta 1918 tra farine, lievito madre e tradizioni
Siamo andati alla scoperta di Porta 1918, il panificio che utilizza un lievito madre di più di 100 anni, e che per primo ha aperto in Sardegna un laboratorio didattico sul pane.
Esiste un alimento che, più di tutti, rappresenta l’uomo: il pane.
La panificazione è stata una delle innovazioni più rivoluzionarie della nostra storia. È con la scoperta dell’agricoltura, infatti, che l’uomo – tra i 10.000 e i 12.000 anni fa – ha abbandonato il nomadismo e aperto le porte all’era della sedentarietà e della convivenza comunitaria. Omero, padre dei due massimi poemi epici della letteratura greca, definiva i mortali che vivono sulla terra “mangiatori di pane”, per differenziarli dagli animali e dai bruti, come nel caso del ciclope cannibale Polifemo. I Greci, per distinguersi dai popoli Barbari, noti per il loro abbondante consumo di carne, si definivano con orgoglio consumatori di farine bianche. Mentre nella Roma di età Augustea erano già centinaia i panifici disseminati all’interno delle mura dell’urbe.
Per tutti questi motivi, noi del team di Vistanet abbiamo deciso che era giunto il momento di tornare alle origini e mettere le mani in pasta tutti insieme, passando una giornata indimenticabile in uno dei panifici storici della Sardegna: il panificio Porta 1918 a Gonnosfanadiga, il paese del pane e dell’olio ai piedi del Monte Linas.
L’azienda nacque per opera di nonna Chiara, una donna moderna e coraggiosa che nel 1918, a seguito di un’epidemia del bestiame che mise in serie difficoltà economiche la famiglia, decise di mettere a frutto la propria arte della panificazione, fondando il panificio di famiglia.
Negli ultimi 100 anni la produzione si è arricchita e l’attività è cresciuta collezionando diversi riconoscimenti: come il premio Roma 2012 sui pani tradizionali a lievitazione, o i 2 pani Gambero Rosso 2023. Furono sempre loro, nel 2007, ad aprire il primo laboratorio didattico sul pane in Sardegna, perché fare il pane è uno spettacolo, e chiunque dovrebbe parteciparvi.
Quando entriamo nel panificio Porta, il profumo del pane appena sfornato e il dolce tepore emanato dai grandi forni in pietra refrattaria ci avvolgono.
Veniamo accolti con ampi sorrisi e fragranti crostate di marmellata: la giusta carica per iniziare il nostro viaggio tra le diverse fasi della filiera di produzione del pane. Si parte dalle materie prime tradizionali. Abbiamo potuto toccare con mano le farine derivate dal Grano duro coltivato in Sardegna, sentire la differenza tra crusca, semola e farina. Accarezzare, come dei moderni Russell Crowe, le spighe di grano Senatore Cappelli, mentre in sottofondo la suggestiva colonna sonora di Hans Zimmer riempiva la stanza.
A guidarci passo dopo passo in questa esperienza sensoriale è stato il maestro Angelo Porta, campione sardo di Coccoi Pintau. Da ogni suo gesto, ogni parola, trasparivano conoscenza e passione. È stato lui a spiegarci che il lievito madre è un elemento vivo, che respira e si nutre. Necessita di cure costanti, va rinfrescato, o meglio rinnovato, ogni giorno più volte al giorno.
E come non fidarsi delle sue parole, dal momento che al Panificio Porta si usa ancora lo stesso lievito madre creato da nonna Chiara più di 100 anni fa.
Il momento più emozionante della giornata è stato, però, vedere il maestro Porta all’opera con la corona di coccoi pintau, che in sardo significa “pane decorato”. Il coccoi è il pane delle feste per eccellenza, e la sua forma più comune è una corona circolare decorata con punte o cornetti, dette pitzus. Utilizzando solo le mani e una serretta ricavata da una monetina da 100 lire, Angelo Porta ha trasformato un semplice impasto in un capolavoro dell’artigianato.
Con maestria, ha modellato la pasta, intagliandola e decorandola con una graziosa rosellina in onore del nostro team. Il coccoi è l’emblema della cultura sarda: unisce l’isola da nord a sud e celebra le tappe più importanti della nostra vita. Le decorazioni del coccoi variano in base all’occasione: tre roselline su ogni lato per i matrimoni, un uovo incastonato al centro, simbolo di rinascita e resurrezione, per Pasqua, la forma di una mezzaluna in segno di fertilità, e molte altre ancora.
Angelo ci ha spiegato come in Sardegna ogni pane abbia il suo significato: ogni forma, ogni intaglio, rappresenta fasi diverse della vita dell’uomo. Ci ha mostrato come preparare “is craixeddasa”: un pane molto duro a forma di chiave che veniva dato ai bambini per facilitare il processo di formazione dei dentini. La “pillunca”: il pane con cui il giovane innamorato chiedeva la mano della sua amata al padre. La “mezzaluna”: preparato dalla sposa e offerto durante la messa nuziale, per dimostrare alla suocera la sua volontà di integrarsi nella famiglia del marito e il proprio impegno a essere per lui una buona moglie.
E non è un caso che proprio mentre Angelo ci mostrava come i nostri avi usassero il pane per scandire lo scorrere del tempo, le sue opere prendevano forma al ritmo di We Will Rock You dei Queen, un brano che parla delle principali fasi della vita dell’uomo: il bimbo pieno di grandi speranze, l’uomo adulto pronto ad affrontare ogni sfida, e l’anziano che, finalmente, ha trovato il suo posto nel mondo.
La nostra esperienza al panificio Porta è proseguita, poi, con la degustazione del civraxu e la sua analisi sensoriale. Il maestro Riccardo Porta, esperto in materia di storia e cultura della panificazione e della degustazione sensoriale, ci ha insegnato come utilizzare i nostri sensi per apprezzare meglio la varietà e la complessità dei diversi tipi di pane. Ci siamo lasciati guidare dalla vista, ammirando la forma circolare del civraxu, la sua crosta bruno dorata e l’alveolatura uniforme. L’udito, con il suo suono vibrante, quasi da tamburo, a testimoniare la perfetta lievitazione. Nel toccarlo, abbiamo apprezzato la crosta croccante e l’interno umido. Poi è stato il turno dell’olfatto e del profumo unico del civraxu, un equilibrio armonioso di cereali e lievito madre. Infine, il nostro senso preferito, il gusto: un sapore inconfondibile, dato dal contrasto della crosta leggermente amara con la dolcezza della mollica.
Il momento più divertente della giornata, però, è stato senza dubbio quello del laboratorio pratico, in cui noi stessi ci siamo potuti mettere alla prova, esprimendo la nostra creatività, e collaborando tutti insieme alla realizzazione del coccoi.
Impastare, modellare e infornare sono stati momenti di connessione con la tradizione e la semplicità dei gesti antichi. Alcuni di noi hanno scoperto dei talenti di cui non erano a conoscenza, altri hanno accettato stoicamente di non essere assolutamente portati per la panificazione.
La giornata è terminata con un grandioso pranzo tutti insieme: teglie di pizza, rigorosamente cucinate nei laboratori del Panificio Porta, panade, salumi e formaggi locali, e un incredibile assortimento di pane fresco, ognuno con il suo gusto deciso e particolare. Nota di merito per gli arancini e i fregolini: polpettine ripiene di fregola, sugo alla campidanese e un cuore di formaggio filante.
Un antico proverbio russo recita: il pane condiviso ha un sapore d’amore, e forse è per questo che al momento dei saluti la famiglia Porta ha regalato a ognuno di noi un pezzetto del loro lievito madre, lo stesso di nonna Chiara. Un po’ della loro storia è venuta a casa con noi, e speriamo che anche a loro sia rimasto un bel ricordo della nostra famiglia.
L’esperienza al laboratorio del panificio Porta 1918 è stata molto più di una semplice lezione sulla panificazione: è stato un percorso di condivisione e bellezza, una scoperta delle nostre radici e la celebrazione delle nostre tradizioni. Questo non sarebbe stato possibile se la famiglia Porta non avesse deciso di consentire l’accesso alle proprie strutture alle aziende, organizzando team building per tutti quei gruppi che, come il nostro, cercano un’experience per approfondire le relazioni al di là dell’ambiente lavorativo. Il loro laboratorio pratico è stata l’occasione per conoscerci meglio, aumentare l’affiatamento della squadra e collaborare in modo sinergico, semplicemente per il piacere di farlo. Ce ne andiamo arricchiti e con uno sguardo diverso sul mondo.
E se è vero che il pane è l’alimento che ci ha resi umani, è altrettanto vero che può diventare metafora della vita stessa: perché se vogliamo portare avanti la nostra storia, è necessario rinnovarsi sempre, custodire ciò che è esistito per tramandarlo a chi verrà.
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