Può la musica farci viaggiare nel tempo? A Cagliari è andato in scena Cobain e sì, è stato possibile
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“E’ meglio ardere in un’unica fiamma piuttosto che spegnersi lentamente”, scrisse nella lettera prima del suicidio.
Una domenica sera di dicembre inoltrato, in una non freddissima Cagliari, in un locale, Su Tzirculu, tra via Campania e l’Università di Lettere, luoghi da me frequentati in abbondanza nei primi 2000, tra i milioni di pagine fotocopiate degli appunti, i corridoi delle aule della Facoltà, dove ti prenotavi agli esami aggiungendo il tuo nome con la penna tra un Giuseppe Garibaldi e un Giosuè Carducci e i mitici professori di Lettere in pantaloni di velluto a zampa, dolcevita color borgogna e capelli pettinati dal maestrale. Insomma quella domenica di dicembre, qualche giorno fa, tra emozioni lontane e ricordi di un tempo, ho ripercorso non solo i primi 2000 ma anche tutti i ‘90.
Quella sera si è tenuto un reading concerto dedicato a uno dei miti di tante adolescenze gridate, vissute, cantate: Kurt Cobain, l’angelo del grunge, dal viso spigoloso, occhi color ghiaccio e capelli real trasandati, colui che con i suoi testi, le sue musiche ma soprattutto con la sua personalità calamitante, è riuscito (involontariamente) a farsi portavoce di un’intera generazione, quella che si era stufata del lusso Versace del decennio ’80-‘90, della bellezza irraggiungibile delle supermodel, delle istanze capitalistiche esplose un decennio prima.
Leader dei Nirvana (nella storica formazione con Dave Grohl e Krist Novoselic), la sua è una vita perfetta per essere raccontata e così è stato, magistralmente, da Francesca Mulas Fiori, autrice dei testi e già protagonista di precendenti eventi (peggio per chi si è perso i primi due della serie, dedicati ai The Cure con accompagnamento musicale della tribute band MissBronte e ai Joy Division insieme agli Endelos). Con la musica dal vivo di Guido Solinas e Raffaele Angius, Mulas ha ripercorso la vicenda personale di Cobain, cominciata in una fredda e grigia Seattle, sofferta, dolorosa, con pochi attimi di gioia e serenità, e terminata allo scoccare dei maledetti 27, quegli anni che hanno tolto al mondo lui come tanti altri artisti del “Club” (Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Amy Winehouse etc).
Una candela spenta sul palco (“E’ meglio ardere in un’unica fiamma piuttosto che spegnersi lentamente”, scrisse nella lettera prima del suicidio) al cominciare della narrazione, empatica, emozionata ed emozionante, intervallata dai contributi in musica con voce, chitarra e basso. Smell like teen spirit, All apologies, Heart shaped box: va di scena il grunge, bellezze. E allora sì che si viaggia nel tempo tra anfibi e All Star ai piedi, jeans slavati e strausati, camicie a quadri e quel sentimento che fa tanto vent’anni che oscilla tra speranza nel futuro, paura dell’ignoto, voglia di buttarsi nel nuovo, incoscienza e malinconia.
Ho amato alla follia Kurt Cobain, imparavo a memoria tutti i suoi testi scritti meticolosamente di mio pugno su un quaderno, dopo aver ascoltato per ore le canzoni (l’Unplugged di MTV del 1993 in questo è stato fondamentale), stop-rewind-play, serate intere nel tentativo di comprendere frasi forse prive di una loro logica, ma tant’è. Insomma sì, la musica fa viaggiare nel tempo eccome, è capace di far percepire nuovamente istanti perduti e ritrovarne di nuovi. La musica è però anche tempo presente, un qui e ora che abbiamo la possibilità di riaffermare. Ma la musica in quanto arte è cultura e soprattutto futuro: concludo così, in attesa di altri reading, di altre serate di cui la nostra Cagliari ha bisogno perché gli artisti, quelli veri, hanno sempre capito tutto, prima di tutti e rileggerli, riascoltarli, riscoprirli, ci rende ricchi, consapevoli, liberi. Grazie Francesca Mulas, grazie Su Tzirculu e grazie a te, Kurt.
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