Ustioni, scoperta rivoluzionaria: il medico cagliaritano Alberto Pappalardo nel team della Columbia
Alberto Pappalardo, 29enne cagliaritano, dopo una laurea in Medicina e Chirurgia, è volato alla Columbia University riuscendo, insieme al suo team, a rivoluzionare la dermatologia con una scoperta per il trattamento delle ustioni molto importante
«Da quando ho ricordi ho sempre avuto una passione per la natura e la scienza. Fra i tanti animali che ho avuto negli anni, l’acquario (dai 5 anni di acqua dolce, dai 12 marino tropicale) è quello che mi ha influenzato di più e spinto a studiare le basi di biologia, chimica e bioreattori. Non ho mai avuto una forte passione per la clinica medica, le circostanze mi ci hanno poi portato (anche se ammetto di avere ora un grande amore per la dermatologia, ma quello è venuta col tempo, quando dal quarto anno dell’università ho iniziato a frequentare il reparto di dermatologia del San Giovanni con la grandissima professoressa Ferreli e la meravigliosa dottoressa Satta).»
A parlare è Alberto Pappalardo, 29enne cagliaritano che, dopo una laurea in Medicina e Chirurgia, è volato alla Columbia University, riuscendo, insieme al suo team, a rivoluzionare la dermatologia con una scoperta sulla terapia delle ustioni molto importante.
Ma andiamo per gradi.
Pappalardo si diploma al classico nella sua città, poi prosegue con l’università.
«Non avevo particolari progetti a breve o lungo termine, ho seguito le mie inclinazioni naturali e colto le opportunità che mi si sono presentate. “Ai miei tempi” il test per medicina era basato soprattutto su logica a cultura generale (anche per matematica e fisica bastava saper ragionare, in biologia presi -0.5 – sì, un voto negativo – su 20) e ho avuto la fortuna di superarlo con la preparazione scolastica» racconta. «Se oggi ripetessi il mio percorso di certo non lo supererei.»
Poi arriva nella sua vita un’occasione che cambierà il suo futuro, anche se ancora non lo sa: casualmente, navigando su internet, trova un tirocinio di tre mesi nella famosissima università americana.
«Decisamente mi ha cambiato la vita facendomi conoscere un mondo, la ricerca, che ignoravo. Medicina in Italia significa clinica ospedaliera, qui hanno una visione più ampia e flessibile e il dipartimento è diviso in un ramo clinico-ospedaliero e uno di ricerca (basic science e clinica, guidato da Angela Christiano). Molti studenti di medicina qui prendono un anno sabbatico a metà percorso per fare ricerca in laboratorio» spiega. «Durante il tirocinio ho appreso le tecniche base usate nel mio ambito di ricerca e tessuto relazioni umane e professionali che sono state molto utili, forse necessarie, per il proseguire della mia carriera in questa direzione.»
Ma nella testa del cagliaritano c’è un progetto forte: dopo laurea e abilitazione, vuole tornare oltreoceano. «Non era una vera e propria promessa, ma un comune accordo. In questi due anni ho mantenuto i contatti via mail, raggiunto i miei colleghi per l’IID meeting a Orlando nel 2018, e continuato a collaborare ad alcune pubblicazioni (la mia tesi di laurea è basata sul lavoro svolto durante il tirocinio).»
E ora è lì, in pianta stabile, e fa parte dell’equipe di bioingegneria che si occupa della pelle. «Generiamo sia pelle sana con diversi livelli di complessità (per terapie di skin replacement in caso di ustioni, ulcere diabetiche, malattie genetiche come l’epidermolisi bollosa distrofica recessiva…), sia pelle dove induciamo patologie (in particolare malattie infiammatorie croniche come la psoriasi e la dermatite atopica) o condizioni particolari (abbiamo un nuovo progetto sulla senescenza – che in biologia non corrisponde strettamente all’invecchiamento ma per facilitare la comprensione potremmo definirla così – e le terapie senolitiche) per studiare queste condizioni e testare farmaci.»
E la scoperta fatta qualche mese fa è certamente rivoluzionaria. «Abbiamo sviluppato un nuovo metodo per generare pelle bioingegnerizzata con forme anatomiche come la mano (dagli anni ’80 ad oggi si faceva in forma di pezze piane) che non solo è molto conveniente dal punto di vista pratico (è un pezzo unico che può essere infilato come un guanto invece che decine di pezzi rammendati stile patchwork, riducendo il tempo delle operazioni e il rischio di infezione) ed estetico (minimizzare le suture significa minimizzare le cicatrici), ma abbiamo scoperto che sviluppandosi come un pezzo unico avviluppato intorno alla struttura di supporto (stampata in 3D), come accade quando la pelle si sviluppa intorno al corpo, la struttura del derma è molto più resistente e fisiologica, con le fibre di collagene orientate in maniera specifica e un’abbondanza di diverse importanti proteine.»
Ma non solo.
«Nel 2022, in collaborazione con tanti altri scienziati guidati dalla Prof Gordana Vunjak-Novaković, abbiamo sviluppato il primo organ-on-a-chip contenente 4 organi (pelle, fegato, osso e cuore) derivati da cellule adulte riprogrammate a staminali (induced pluripotent stem cells) ospitati in un sistema microfluidico che simula la circolazione del sangue (ricoperto da cellule endoteliali, le stesse che rivestono l’interno dei vasi sanguigni). Un primo passo verso lo human-on-a-chip, sogno di Don Ingber (uno dei padri della bioingegneria), che in futuro sostituirà la sperimentazione animale.
E nel 2018 abbiamo generato la prima pelle bioingegnerizzata contenente capelli cresciuti totalmente in vitro.
«In pubblicazione – Abbiamo sviluppato in collaborazione con Antony Oro alla Stanford University una cura per l’epidermolisi bollosa distrofica recessiva. La cura prevede riprogrammare i fibroblasti (le cellule del derma) isolati dai pazienti con una piccola biopsia cutanea del diametro di una matita (4 mm) a cellule staminali (iPSCs), correggere il difetto genetico (nella maggior parte dei casi una mutazione del collagene VII) tramite CRISPR/Cas9, differenziare le staminali in cheratinociti (le cellule dell’epidermide), generare l’epidermide e trapiantarla sui pazienti.»
Progetti? Be’, come sottolinea, conseguire la specializzazione in dermatologia e in futuro abbinare l’attività clinica alla ricerca.
«Il supporto della mia famiglia è stato fondamentale» conclude. «In particolare, mia madre e mia nonna hanno sempre spinto per l’eccellenza negli studi, e mio marito Kamil (che controvoglia mi ha seguito negli USA, ora ama New York e non ha nessuna intenzione di andarsene) che da 8 anni mi sopporta e compensa la nostalgia che provo per la mia famiglia e la Sardegna.»
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