Zola: “Avrei voluto fare un assist a Gigi Riva. Mi sarebbe piaciuto giocare con lui”

Una bellissima intervista di Walter Veltroni a Zola pubblicata sul Corriere della Sera.
Splendida intervista del Corriere della Sera – a firma di Walter Veltroni – al campionissimo sardo Gianfranco Zola.
Un’intervista a tutto tondo sulla sua vita, la sua carriera, il gioco del calcio e i tanti personaggi illustri con cui ha incrociato la strada il fuoriclasse di Oliena.
“Ero un ragazzino che viveva in un paesino piccolo della Sardegna e il calcio di alto livello era non so quante galassie lontano da me – racconta Zola -. Vivevo di emulazione, non avendo il calcio di qualità vicino mi abbeveravo a quello che vedevo in televisione e liberavo le fantasticherie di un bambino che guardava i calciatori e cercava di copiarli, di imparare da loro. E quelli a cui mi ispiravo avevano tutti le stesse caratteristiche: grande tecnica, grande inventiva, grande creatività. Quei giocatori, sempre o quasi, indossavano la maglia numero dieci. Per me quel numero, quel modo di giocare era la bellezza del calcio, il suo Dna”.
“Vengo da una famiglia molto povera. I nonni lavoravano in campagna e mio padre era aiutante pastore – rivela l’ex calciatore sulla sua infanzia -. Mio padre non sapeva neanche cosa fosse un pallone. Un giorno degli amici lo portarono a vedere una partita. Da quel giorno impazzì per il pallone, diventò dirigente della squadra locale, persino presidente. Quando avevo tre anni mi portava agli allenamenti. Se quegli amici non lo avessero invitato al campo, quel giorno, forse anche la mia vita sarebbe stata diversa, sliding doors. Lui non mi insegnava come calciare la palla, ma mi indicava valori e aveva fiducia in me. Mi ha fatto vedere una strada e mi ha dato la libertà di percorrerla. Penso sia questo il compito dei genitori”.
Poi una riflessione sul numero 10: “Ero uno di quei giocatori che per inserirsi nel modello tattico di Sacchi doveva trovare un ruolo che però non era il mio: o facevo l’esterno di destra o di sinistra o la seconda punta. Anche Roberto Baggio si è trovato nella stessa condizione. Ora, ancora di più, tutti cercano di attaccare, di mantenere il possesso di palla, ma in un contesto tattico molto rigido e di conseguenza il numero dieci o diventa un sette, un undici o un finto nove. Il dieci non esiste più. A me nessuno si è mai sognato di dirmi, quando avevamo la palla noi, “Vai di qua o vai di là, fai così o fai colì”. Io diventavo matto, quando cercavano di imbrigliarmi. Qualche allenatore ci ha provato, ma non era per me. Io al calcio sapevo giocare solamente in quel modo. Non ero uno sregolato, facevo disciplinatamente il pressing quando gli avversari impostavano il gioco. Ma, quando avevo la palla, volevo essere libero di fare quello che sapevo fare: inventare”.
Inevitabile un commento su Maradona: “Come persona, al di là del calciatore che, mi creda, era inimmaginabile. Era irragionevole quello che riusciva a fare in campo. Dal punto di vista umano lui, che era il giocatore più conosciuto al mondo, viveva tutto con una semplicità, una tranquillità che erano d’esempio. Aveva attenzioni e premure per tutti. Se c’era da battersi per un suo compagno di squadra lo faceva, lo difendeva sempre e comunque, contro chiunque. Ci faceva vincere la partite e i campionati ma noi lo abbiamo amato per com’era. La sua vicenda finale mi ha fatto male perché non meritava quello che è successo. Aveva delle debolezze a cui non riusciva a resistere ma, mi creda, era un gran bravo ragazzo. Buono come pochi”.
Poi la domanda finale sull’assist che avrebbe sempre voluto fare e la risposta, inevitabile e senza indugi: “Gigi Riva. Mi sarebbe piaciuto giocare con lui. Credo ci saremmo divertiti molto”.

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