Capoterra, il nuovo murale di Manu Invisible “Speranza”, dedicato alla Montessori

In una Scuola Primaria di Capoterra l’artista Manu Invisible ha realizzato un enorme murale intitolato “Speranza” come parte di un esercizio creativo. «La morte di una persona non segna soltanto il cuore dei suoi cari, ma lascia un segno indelebile
In una Scuola Primaria di Capoterra l’artista Manu Invisible ha realizzato un enorme murale intitolato “Speranza” come parte di un esercizio creativo.
«La morte di una persona non segna soltanto il cuore dei suoi cari, ma lascia un segno indelebile sulla società in cui ha vissuto. Tuttavia, alcuni individui vengono ricordati non solo per questo, ma anche per le loro scelte, la loro volontà e le loro battaglie personali, che influenzano le scelte delle generazioni future e creano la storia».
Questo murale è un omaggio alla memoria di Maria Montessori e vuole rappresentare il significato molto più profondo che essa ha per tutti noi, motivo per cui la sua icona diventa il simbolo di speranza trasmesso da una bambina immersa nella sua esperienza memoriale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Quando non c’era il grano, si mangiava Su Pan’Ispeli: conoscete il pane antico della Sardegna?

Citato da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.
In Sardegna, il pane non è mai stato solo cibo. È sempre stato simbolo, rito, ingegno. Tra i tanti pani che affollano la straordinaria tradizione sarda – dal carasau al civraxiu, dal frattau al pistoccu – ce n’è uno che affonda le radici in un tempo così lontano da sembrare mitico: Su Pan’Ispeli, il pane di ghianda. Citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.
Questo alimento antico risale al Neolitico e nasce in un contesto di fame e sopravvivenza. Quando il grano scarseggiava, le donne sarde guardavano alle querce, generose di ghiande mature. La raccolta era attenta: si sceglievano solo quelle ben sviluppate, simbolo di forza e nutrimento. Ma non bastava raccoglierle: le ghiande andavano sbucciate, lessate e poi depurate con un rituale tanto antico quanto affascinante.
L’acqua della bollitura veniva filtrata attraverso uno strato composto da argilla, erbe aromatiche e cenere. Questo non solo serviva a eliminare le sostanze amare e tossiche, ma aveva anche un significato profondamente spirituale. In epoca primitiva, in Sardegna era fortissimo il culto della Dea Madre, divinità della terra e della vita. L’argilla, considerata il suo sangue, aveva un valore sacro: cibarsi di quel pane significava ricevere protezione ultraterrena e conquistarsi un posto nell’aldilà.
Una volta cotte e purificate, le ghiande venivano ridotte in una sorta di “polenta” densa, modellata in pezzi, poi asciugata lentamente al sole o nel forno. Il risultato era un pane dal colore scuro, quasi nero cenere, con un sapore intenso e inaspettatamente gradevole. Nonostante la sua origine umile, Su Pan’Ispeli era tanto apprezzato che continuò a essere preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni ’50 del Novecento.
Oggi, il pane di ghianda è quasi scomparso, ma resta uno dei simboli più potenti dell’ingegno e della spiritualità antica della Sardegna: un cibo che nutriva il corpo e, secondo chi lo preparava, anche l’anima.

© RIPRODUZIONE RISERVATA