Monumenti sardi: Nuraghe Arrubiu, il Gigante Rosso, il più grande e maestoso dell’Isola
A Orroli, nel Sarcidano, nel cuore della Sardegna, c'è uno dei nuraghi più belli dell'Isola, uno dei monumenti megalitici più importanti d'Europa, fondamentale nella storia della civiltà protosarda.
Monumenti sardi: Nuraghe Arrubiu, il Gigante Rosso, il più grande e maestoso dell’Isola.
A Orroli, nel Sarcidano, nel cuore della Sardegna, c’è uno dei nuraghi più belli dell’Isola, uno dei monumenti megalitici più importanti d’Europa, fondamentale nella storia della civiltà protosarda.
Il nome Gigante rosso è meritato e dovuto: le sue maestose proporzioni e le sfumature rosse dei licheni che colorano i suoi muri di pietra basaltica rendono questo sito unico.
Il complesso nuragico risale al 1500 a.C. circa, il suo crollo è stato datato al IX secolo a.C. per cause ancora non certe e rimase disabitato fino al 100 a.C. quando arrivarono i Romani.
È l’unico nuraghe premeditato presente in Sardegna, nonché uno tra i maggiori, costituito da una torre centrale circondata da altre cinque torri attorno alle quali si trova un antemurale (cinta esterna), con ulteriori sette torri che compongono un’altra cinta muraria difensiva, la quale racchiude diversi cortili intorno al bastione.
È presente poi una seconda cortina muraria esterna con cinque torri ed una terza cortina con altre tre torri, non raccordate con quelle precedenti. Il numero totale delle torri è ventuno. Complessivamente copriva una superficie superiore a 5000 m².
La stuttura del nuraghe si estende per cinquemila metri quadri ed è costituito da una torre centrale (mastio) alta 15 metri – in origine era alta il doppio – circondata da un poderoso bastione formato da cinque torri, a sua volta attorniato da una cinta difensiva con sette torri unite da cortine. Come riporta il sito di Sardegna Turismo all’interno presenta vari cortili. A sud-est sorge un altro antemurale con cinque torri collegate da murature. In totale le torri sono addirittura 21. All’interno del mastio, del quale rimane il primo di tre piani, percorrendo uno stretto andito, si arriva alla camera centrale, che racchiude un focolare e un vaso rituale. La copertura a tholos (falsa cupola) è intatta, come in alcune delle torri minori.
Nei cortili sono venuti alla luce: banchine, cisterne, focolari, nicchie, scale, accessi, corridoi e vani coperti. Attorno, tanti resti di capanne. Lungo il lato orientale ce n’è una grande e tonda: è quella delle riunioni, con sedile lungo il perimetro e focolare in mezzo. Il monumento ‘visse’ fra XIV e IX secolo a.C., con fasi alterne. Dopo un crollo, rimase disabitato fino al II a.C. quando i romani lo adattarono a laboratorio di produzione del vino: due vasche e attrezzi per pigiare l’uva lo testimoniano. Datazione e importanza del sito sono confermate dai reperti: spiccano ceramiche importate dal Peloponneso attestanti contatti non sporadici anche con la civiltà micenea.
Durante gli scavi è stato rinvenuto un complesso sistema di drenaggio e di canalizzazione delle acque.
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