(VIDEO) Acqua dentro casa, disagi nel rione Sant’Elia: “Chiediamo che si intervenga subito”

Da quasi un anno il signor Efisio Aramu va avanti in un piccolo appartamento, ai piedi del palazzo del Favero in piazza Falchi, sempre più allagato. La sua testimonianza
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Acqua raccolta in catini di plastica, infiltrazioni ovunque e cucina inutilizzabile. Così come il resto della casa, dove la vita quotidiana diventa sempre più difficile.
Da quasi un anno il signor Efisio Aramu va avanti in un piccolo appartamento, ai piedi del palazzo del Favero in piazza Falchi, sempre più allagato. Dall’estate 2021 infatti le infiltrazioni d’acqua si sono fatte più insistenti e la quotidianità diventa sempre più dura.
“Dall’ente Area Sardegna ancora nessuna risposta e nessun intervento”, le parole di Claudia Aramu, figlia di Efisio che ha costruito casa sua col sudore sulla fronte e chiede solamente di poterci vivere dignitosamente. “Assurdo, noi paghiamo l’affitto. Io sono invalida e sarò costretta a ospitare mio padre”.
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Come si chiama il mattarello in sardo campidanese?

Un nome da filastrocca per lo strumento più temuto in cucina: il mattarello in sardo campidanese.
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Come si chiama il mattarello in sardo campidanese?
Un nome da filastrocca per lo strumento più temuto in cucina: il mattarello in sardo campidanese.
La Sardegna è un mosaico di storie, sapori e parole antiche. Non è solo l’isola dei nuraghi e delle spiagge cristalline, ma è anche terra di tradizioni agricole e pastorali, un affascinante luogo di incontro di genti e di lingue che hanno plasmato una cultura ricca e peculiare. In questo contesto, ogni oggetto, anche il più umile, nasconde una storia e un nome unico, e persino il comune mattarello non fa eccezione.
L’arma bianca del focolare: l’oggetto che metteva in riga. C’era un tempo, che in parte è ancora adesso, in cui il cuore della vita domestica pulsava attorno al tavolo da lavoro in legno. In effetti, nelle case sarde, specialmente in campidanese, c’era un oggetto che non poteva mai mancare e che, nonostante la sua semplicità, era al centro della vita domestica. Questo strumento era il mattarello.
Lì dove le signore lavoravano la farina per fare la pasta fatta in casa, questo cilindro di legno era un oggetto molto utile ed usato. Pensiamoci un attimo: un cilindro di legno, essenziale e robusto, che trasformava un cumulo di farina nella base della cucina sarda, stendendo sfoglie perfette per culurgiones, ravioli e altri tipi di pasta. La sua utilità, però, andava ben oltre la preparazione della pasta. Grazie al suo ruolo di autorevolezza domestica, spesso veniva rivolto anche verso qualche figlio monello: era un monito silenzioso che metteva fine a qualsiasi capriccio. Era, insomma, un’arma di dolcezza e rigore, usata con affetto per educare e nutrire.
Arriviamo quindi al nocciolo della questione, quello che aggiunge un tocco di poesia a questo oggetto quotidiano. Un nome che evoca antiche tradizioni e sembra quasi una parola che compone un’antica filastrocca: è il nome in sardo del mattarello. E voi sapete come si dice?
Il nome è breve, secco e rivela l’immediatezza della lingua isolana. La risposta è: su tùturu (o tùtturu).
“Su tùturu” è molto più di una semplice traduzione; è l’evocazione di un tempo in cui la pasta fresca non si comprava, ma si guadagnava con l’olio di gomito, e il rispetto per il focolare domestico era legge. Questo nome pittoresco fa sorridere e, allo stesso tempo, ricorda quanto la cultura materiale e la lingua siano indissolubilmente legate in questa meravigliosa terra di tradizioni. Un tesoro linguistico che merita di non essere dimenticato.

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