(VIDEO) Acqua dentro casa, disagi nel rione Sant’Elia: “Chiediamo che si intervenga subito”
Da quasi un anno il signor Efisio Aramu va avanti in un piccolo appartamento, ai piedi del palazzo del Favero in piazza Falchi, sempre più allagato. La sua testimonianza
canale WhatsApp
Acqua raccolta in catini di plastica, infiltrazioni ovunque e cucina inutilizzabile. Così come il resto della casa, dove la vita quotidiana diventa sempre più difficile.
Da quasi un anno il signor Efisio Aramu va avanti in un piccolo appartamento, ai piedi del palazzo del Favero in piazza Falchi, sempre più allagato. Dall’estate 2021 infatti le infiltrazioni d’acqua si sono fatte più insistenti e la quotidianità diventa sempre più dura.
“Dall’ente Area Sardegna ancora nessuna risposta e nessun intervento”, le parole di Claudia Aramu, figlia di Efisio che ha costruito casa sua col sudore sulla fronte e chiede solamente di poterci vivere dignitosamente. “Assurdo, noi paghiamo l’affitto. Io sono invalida e sarò costretta a ospitare mio padre”.
GUARDA IL VIDEO
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ucciso dalla gogna digitale: la tragedia di Valerio Saba, condannato senza processo

Accusato sui social di pedofilia, Valerio Saba non ha retto il peso delle atroci accuse online. La sua storia.
canale WhatsApp
Valerio Saba aveva 28 anni. Era un ragazzo timido, di quelli che si coprono la bocca quando sorridono, come se anche la gioia dovesse chiedere permesso. Viveva a Guspini, nel sud della Sardegna, e si svegliava all’alba per lavorare nei mercati. Una vita semplice, silenziosa, spezzata da una delle accuse più infamanti che possano colpire un essere umano.
La sua storia, raccontata da Roberto Saviano, inizia nei primi giorni di gennaio 2023. Un giorno qualunque, finché il telefono di Valerio comincia a vibrare senza sosta: notifiche, messaggi, insulti. Accuse. Valerio non capisce cosa stia succedendo. In poche ore diventa il bersaglio di un “call-out”, una denuncia pubblica senza prove e senza processo. La chiamano giustizia rapida. In realtà è squadrismo digitale.
Tutto nasce da un post sui social. Un uomo scrive che qualcuno avrebbe tentato di adescare suo figlio, un bambino di sette anni. Racconta di essere andato dai carabinieri, senza trovare nessuno in caserma. Decide allora di affidarsi ai social. Da lì parte la caccia.
Viene descritta un’auto. Poi viene indicata. Poi fotografata. Infine viene pubblicata la targa. Un altro padre interviene: «Si è denudato davanti a mio figlio». Poco dopo un altro ancora: «Anche davanti a mia figlia, una bambina di 11 anni». Le accuse si moltiplicano, si rafforzano a vicenda, diventano “verità” solo perché ripetute.
Le voci arrivano fino alla sorella di Valerio. Poi a sua madre, che lo chiama e gli chiede: «Bambino, ricordami il numero della targa». In quell’istante Valerio capisce che il veleno è entrato in casa. È tutto falso. In quei giorni lui non era nemmeno in paese. Il GPS dell’auto lo dimostra. Ma la verità non corre veloce quanto l’odio.
Valerio non ha strumenti per difendersi. Contro l’accusa più atroce — fare del male ai bambini — non esiste una difesa pubblica efficace. Il marchio resta, anche quando è falso. E vivere così diventa insopportabile. Valerio è innocente. E si impicca.
Prima scrive a sua madre: «Ciao mamma, scusami per tutto e per le poche parole, ma ti voglio un mondo di bene, sei la migliore». Poi invia un ultimo messaggio: il PIN del bancomat. Per lasciarle i pochi soldi che aveva risparmiato. La Procura apre un’indagine su alcuni protagonisti della gogna mediatica. Ma Valerio non tornerà. La gogna non è giustizia. È violenza che si traveste da moralità. Non cerca la verità. Cerca vittime.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

