Lacrime e preghiere nella chiesa ortodossa, tra la comunità cagliaritana paura per i propri cari

Lacrime, paura e angoscia. La guerra tra Ucraina e Russia si sente anche qui in Sardegna. Nella chiesa ortodossa di Cagliari oggi tante donne in preghiera per i propri cari. "Laggiù c'è il caos. Hanno svuotato i market e i miei figli sono scappati solo con ciò che avevano"
C’è chi prega per conto suo, in silenzio e compostezza. Altri attendono la messa seduti sulle panche, presi da ansia e paura. Quella più forte, perché rivolta ai propri cari.
È un giovedì d’angoscia per la comunità ortodossa della chiesa della Speranza di Castello. Da stamattina l’attacco delle truppe russ e piovono bombe su diverse città dell’Ucraina. Una guerra che in qualche modo sembra essere arrivata anche qui in Sardegna.
Lacrime e dolore segnano il viso delle tante donne presenti tra i fedeli ortodossi della comunità ortodossa di padre Nikolayy Volsky. In pochi hanno voglia di parlare. Telefono in mano, aspettano la chiamata da casa, dai propri cari e i propri figli.
“Ho tantissima paura”, racconta Maria, da 5 anni in Italia e ora seduta in attesa dell’inizio della funzione. “Mia figlia è a Kiev e la situazione è in preda al caos”.
Il telefono squilla, una donna esce in fretta dalla chiesetta accanto alla Cattedrale. Elvira da 10 anni è a Cagliari e ora vive terribili momenti di angoscia. Ora riceve la telefonata dalla figlia, direttamente dalle zone di guerra. “I miei figli e i miei nipoti sono scappati dalla capitale, cercano di allontanarsi per oltre 400 chilometri. Bombe ovunque ed è caos. La gente compra di tutto al supermercato e la benzina è stata razionata”.
La campanella del sacerdote suona. È l’inizio della messa ortodossa. “Ci affidiamo a Dio. È l’unica cosa che possiamo fare”.

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Mariano Olla, il ricordo nelle parole commosse della sua prof di italiano. Oggi il funerale

La prof Usai ci racconta Mariano, i suoi amici, quelli veri. E il lavoro che fa la scuola, a volte impotente davanti ad alcol e droghe
“Il primo incontro è stato tre anni fa. Lui era in prima e non era nella mia classe. Li guardo sempre con curiosità, i primi. Piccoli, impacciati. Lui, si distingueva per la bellezza, quasi angelica. Non era un alunno facile.
L’anno dopo cambia sede, ma in terza torna da noi e diventa uno dei miei. Telefono sempre tra le mani, distratto, apparentemente svogliato. Un giorno, chissà perché, si racconta. E diventa “mio”. Inizia così la nostra chiacchierata con la professoressa Silvia Usai dell’Istituto Meucci-Mattei. Ci racconta il suo alunno Mariano Olla, fragile e forte. L’autopsia ha confermato che il 16enne trovato morto sabato mattina in acqua davanti alla spiaggetta del parcheggio Cuore, nel tratto terminale del lungomare di Su Siccu, è morto annegato. Nessuno aveva dato l’allarme della sua scomparsa. “Parte un progetto di mentoring. Faccio domanda e scelgo lui”.
Continua la prof Usai: “L’ho affiancato per 10 ore, nel giorno libero, nelle ore in cui non ero nelle altre classi, e poi a contratto finito, in sordina, “perché con lei riesco a seguire, prof.”.
In queste ore in tanti hanno parlato dell’assenza di amici, è così?
Aveva amici veri, per esempio il suo amico, quello che lo accompagnava a scuola in scooter. Inseparabili. Gli stava dietro, lo spronava, lo proteggeva. Gli altri compagni, con cui giocava in cortile a tirare di boxe. E’ per loro che ho organizzato un corso di una mattina con un maestro vero. Da ex marzialista, vedere i piciocheddi tirare male i calci era insopportabile. Ogni tanto mi facevano vedere qualche tecnica e io, pignola, correggevo la posizione del piede d’appoggio. Gli amici andavano in palestra, lui no, ma lo coinvolgevano nei combattimenti improvvisati in cortile, che io, da ex arbitro, puntualmente bloccavo sul nascere.
Come era il vostro rapporto?
Io e lui: prof. le piace come sono vestito oggi? La mia faccia schifata alla vista dei jeans strappati. Io sono antica, non mi piacciono gli stracci, rispondevo ridendo. Prof, ieri ho rissato con uno: e via il racconto del tizio che lo insulta sull’autobus e lo spinge e lui che reagisce e chissà quanta rabbia ha sfogato, quella volta. -Prof, è fatto bene il mio tema? Prof. Ci ho messo un’ora, è giusto il tema? No, che non era fatto bene, che non era completo, ma gli ho detto cosa andasse bene e cosa poteva migliorare e lui contento. Prof, io sono timido, mi vergogno. E io rido. Prof, non riesco a intervenire nella discussione come gli altri. Però se mi presta il libro faccio tutte le mappe concettuali. Prof. Sono giuste? Prof. Io e la mia ragazza ci siamo lasciati… Prof. Ma mi promuove? Prof. Ma lo sa che voglio trovare un lavoro? Mariano era solo un ragazzino che voleva parlare ed essere ascoltato. E che faceva tenerezza, perché il suo zaino era vuoto di quaderni e pieno di cibo. Era fragile, “a rischio”. Lo tenevamo d’occhio. Lo facevamo entrare anche in ritardo, pur di averlo a scuola. Era il nostro ragazzo e cercavamo di proteggerlo. Anche il suo amico lo proteggeva.
Può spiegarci meglio?
Un pomeriggio Mariano decide di restare al corso di potenziamento di scrittura. Erano così bellini che facevamo pausa pranzo insieme. Decidiamo di ordinare il kebab e io anticipo il pagamento. Lui non ha soldi e il suo amico il giorno dopo arriva con due quote. Io gli dico che no, a Mariano ci penso io. E lui insiste: prof, la quota di Mari la pago io. Ci penso io a lui. Ecco perché non ho creduto neanche per un secondo che il suo amico potesse averlo abbandonato. Perché ci pensava lui, a Mari. Adesso lui, che per me non è mai stato un problema, perché serio, a modino, tranquillo, è disperato. E io con lui. Perché lui ha perso il suo fratellino e io penso a cosa avremmo potuto fare, cosa avremmo potuto dirgli, per non farlo andare lì quella sera, per farlo stare a casa. Niente. Non avremmo potuto fare niente. Mariano sapeva quanto il suo amico tenesse a lui. Gli ha nascosto della festa. Al padre, ha detto che sarebbe andato a dormire dall’amico. Il padre lo conosceva ed è per questo che si è fidato. Non è un padre incosciente, come scrivono molti: sapeva che il figlio era al sicuro, con l’amico che lo proteggeva. E invece Mariano voleva andarci, alla festa improvvisata. E ha fatto in modo che nemmeno il suo fratello maggiore potesse fermarlo. Perché lo avrebbe fermato. E se fosse stato lì, non lo avrebbe lasciato. Piuttosto sarebbe morto lui, per salvarlo. Perché i miei piciocheddi sono così: scapestrati, a volte. Incoscienti. Ma leali, veri, sinceri. E’ uno strazio, per loro, leggere le cattiverie che circolano in questi giorni. Un altro amico. Un ragazzino di prima. Anche lui faccina d’angelo. Anche lui irrequieto. Anche lui, forse sarà mio alunno, ma in terza. Molto molto amico di Mariano. Molto triste. Ha chiesto il mio numero al mio alunno. Vuole che io sia presente al funerale. E vuole anche un altro collega.
Racconta una scuola molto presente per i ragazzi?
Ecco cos’è la nostra scuola: un posto dove quando hai bisogno cerchI gli adulti, anche se non sono i tuoi prof. Un altro alunno dei miei, parlando dell’accaduto con una collega, oltre a mostrare il dolore per Mariano le ha chiesto “E la prof. Usai? Come sta?” Perché lo sentono, che gli vogliamo bene.
Quanto conta l’educazione emotiva?
Ecco, l’educazione emotiva: io gioco facile, perché la letteratura è una miniera. E perché in una scuola di soli maschi, devo darglielo io il punto di vista dell’altra metà del cielo. Non c’è una materia (e non dovrebbe esserci: dovrebbero esserci degli incontri/laboratori con esperti, perché non puoi imparare l’affettività sui libri o seguendo un programma scolastico) Parlano, loro. Si aprono. Raccontano. Li hai visti lei: è dura, scalzare dalle loro testoline idee maschiliste e pregiudizi. Ma hanno il cuore grande. Ed è un ottimo punto di partenza.
Mi dica delle droghe e dell’alcol, quanto sono presenti nella loro vita?
Siamo impotenti e disarmati, per ora. Noi lavoriamo la mattina dal lunedì al sabato e loro, dal venerdì sera all’alba del lunedì, si sballano. Anche qui, dovremo, dovremmo lavorarci. Dobbiamo dare loro delle valide alternative allo sballo.
Cosa vuole emerga da questa chiacchierata?
Quello che è importante è un dato: noi siamo una scuola piccola. Gli insegnanti sono insegnanti di tutte e tutti e gli alunni sono “nostri”. Li conosciamo tutti, facciamo ricreazione insieme, facciamo i tornei a biliardino. Ci cercano quando hanno voglia di sfogarsi, di confidarsi. Siamo una “famiglia”. Se Mariano avesse avuto il tempo, sarebbe cresciuto anche come studente, e sarebbe diventato un ottimo manutentore e avrebbe lavorato subito, come fa la maggior parte dei nostri diplomati. E questo valore aggiunto è dato dal fatto che siamo pochi, li conosciamo e li seguiamo. Purtroppo le scuole azienda e le classi pollaio non permettono questo tipo di rapporto, che noi ancora riusciamo a mantenere. Oggi saremo tutti insieme a Sestu, a salutare Mariano, con i nostri ragazzi. Perché non possiamo lasciar andare Mariano senza il nostro saluto. E non possiamo lasciare i compagni da soli, senza di noi.

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