“Buonanotte gioventù”, il romanzo di Stefano Ancis ambientato a Cagliari
Un giovane scrittore cagliaritano che nel suo primo romanzo di formazione mette in luce anche la propria città: ecco di cosa parla il libro di Stefano Ancis
In libreria il romanzo dello scrittore 28enne cagliaritano Stefano Ancis, “Buonanotte gioventù”, pubblicato dalla casa editrice romana PAV Edizioni.
Ambientato tra Cagliari e l’isola greca di Corfù, il libro si configura come romanzo di formazione, poichè racconta la maturazione del protagonista dalla giovinezza all’età adulta. Un libro dedicato ai giovani e in cui ogni ragazzo può ritrovarsi: cosa fare della propria vita dopo la maturità? Quale il proprio posto nel mondo? Dove trovare risposte e certezze in questa epoca tanto disordinata?
Tramite amicizie, scontri generazionali e relazioni sentimentali tragicomiche il protagonista, Matteo Altea, affronta i suoi dubbi esistenziali, in un perenne dualismo tra sogni ambiziosi e la dura realtà, la voglia di spaccare il mondo e l’ansia di non riuscirci, la sete di avventura tipica della Generazione Z e il terrore di lasciare la Sardegna. Tutto questo durante il suo cammino di vita: gli anni della scuola, le uscite a Marina Piccola, il percorso universitario, i primi viaggi fuori dall’isola alla scoperta del mondo.
“Buonanotte gioventù” rappresenta quindi il cammino, travagliato ma divertente, di tanti sardi. Porterà il protagonista a mettersi in discussione, in una lotta disperata alla ricerca della propria identità, che non risparmierà inevitabili errori, effimere soddisfazioni e una ricerca instancabile di emozioni forti.
Il testo, scritto in prima persona, presenta un ritmo veloce e coinvolgente. La scrittura è semplice e scorrevole.
Dal romanzo: “I giovani sono il futuro, dicevano alla tv. Ma quel futuro in certi casi non arrivò mai. Se c’era qualcosa che sembrava caratterizzare me e i miei coetanei era il caos, la confusione, la mancanza di punti di riferimento perché tutti, anche gli adulti, stavano cercando i propri. Eravamo quel futuro tanto atteso e sperato che però si stava per spegnere come un fuoco che brucia in fretta. Ci avevano atteso come la Greatest Generation e invece stavamo diventando la Lost Generation, senza che nessuno se ne rendesse conto”.
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Oggi è San Giorgio: sapevate che la bandiera della Sardegna è un tributo al Martire?
C'è però anche chi, coerentemente con le proprie origini, per non accettare simboli di dominazione, avrebbe scelto un altro vessillo: il desdichado, l'albero sradicato simbolo del giudicato d'Arborea, ultimo regno autonomo sardo a resistere alla protervia degli Aragonesi prima e degli Spagnoli poi.
Oggi, 23 aprile si celebra San Giorgio, il “Megalomartire” che secondo la leggenda e la tradizione fu capace di sconfiggere il drago.
La vera origine della bandiera della Sardegna, i quattro mori divisi da una croce rossa su sfondo bianco è fortemente legata proprio al Santo.
Il campo bianco diviso dalla croce rossa è infatti per tradizione il simbolo di San Giorgio.
L’origine del vessillo dei quattro mori, simbolo della Sardegna, è legato alle vicende belliche della Corona di Aragona, che dominò la Sardegna dal 1324 al 1479 (poi dall’unione con il regno di Castiglia nacque la Corona di Spagna). La tradizione vede le quattro teste del vessillo come le teste dei quattro capi saraceni sconfitti e uccisi da re Pietro I d’Aragona nel 1096 ad Alcoraz, dove l’esercito aragonese avrebbe ottenuto la vittoria unicamente grazie all’intervento di San Giorgio che apparve sul campo di battaglia nelle vesti di un cavaliere bianco con una croce rossa sul petto.
Il vessillo sarebbe quindi la celebrazione di quella vittoria. Nel tempo gli Aragonesi rimasero fedeli a San Giorgio. Poi alla fine del Quattrocento gli Aragonesi-Catalani concessero il simbolo dei quattro mori ai Sardi e conservarono i 4 pali rossi in campo giallo come proprio vessillo.
Nel 1718, dopo una piccolissima parentesi asburgica, la Sardegna passò al ducato di Savoia ma mantenne come simbolo la bandiera dei quattro mori. Nel tempo il simbolo è stato più volte interpretato: prima i mori avevano la barba e la corona, poi hanno messo la benda sugli occhi, benda sulla fronte, croce di San Giorgio più grossa, più fine, orecchino nel lobo sì, orecchino no, teste dei mori rivolte a sinistra, teste dei mori rivolte a destra. Interpretazioni, appunto, spesso legate alla connotazione politica dei rappresentanti politici.
Il vessillo da parte dei sardi è quindi un segno di sottomissione alla corona d’Aragona, fatto comunque proprio nel corso del tempo. I Sardi, infatti, sono restii a cambiare questo simbolo che, nonostante qualche piccolo cambiamento, viene mostrato, almeno in certe parti dell’Isola, con grande orgoglio.
C’è però anche chi, coerentemente con le proprie origini, per non accettare simboli di dominazione, avrebbe scelto un altro vessillo: il desdichado, l’albero sradicato simbolo del giudicato d’Arborea, ultimo regno autonomo sardo a resistere alla protervia degli Aragonesi prima e degli Spagnoli poi.
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