Leggende cagliaritane. Perda Liàda, quel sasso contro i saraceni e il mito di un lamento d’amore

Al largo della cagliaritana Torre del Prezzemolo si erge l'isolotto de Sa Perda Liàda. Un gigantesco scoglio, nelle acque di Sant'Elia, che nasconde un affascinante leggenda e una storia di un amore barbaramente ucciso.
Della cosiddetta “spiaggiola” di Sant’Elia, accanto al noto ristorante “Lo Scoglio” e ancora frequentata nelle domeniche estive da molti abitanti del rione, si è parlato abbastanza. Quell’arenile di sabbia e ciottoli, accessibile da una scalinata un po’ nascosta fra le erbacce, raggiungibile dalla strada serrata ai piedi della Torre del Prezzemolo.
Ed è proprio al largo di questa che si erge l’isolotto de Sa Perda Liàda, anche detto Scoglio di Sant’Elia. Forma sub-rotonda, rada vegetazione sulla sua superficie, questa grande “pietra” è teatro di un’affascinante leggenda cagliaritana.
Si racconta infatti che ai tempi delle invasioni saracene un frate, che abitava nel cenobio edificato nella parte alta del promontorio, avvistando l’imbarcazione nemica le lanciò contro una perla proveniente dalla mitra di San Giovenale. Ecco allora che, nel rotolare per il pendio, la perla a poco a poco diventò sempre più grossa e, piombando sull’imbarcazione, la distrusse. È la leggenda della Perda Liàda, ovvero la pietra lanciata.
Come riportato da Gian Paolo Caredda, però, pare che il nome dell’isolotto sia anche quello di Galata, nascondendo così un’altra leggenda. I pescatori del passato infatti sostenevano che, durante la notte, in quel tratto di mare si sentiva un canto melodioso. Questo era il lamento della mitica Galatea, una delle Nereidi che abitavano il Mediterraneo, di cui si invaghì il terribile figlio di Poseidone, Polifemo. A quest’ultimo, tuttavia, la fanciulla preferì il giovane Aci. Il ciclope allora, preso da accesa ira, lo schiacciò con un masso.
Riferimenti Bibliografici: Gianpaolo Caredda, Le tradizioni popolari della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico, Nuoro.

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In Sardegna vola la Saturnia del Pero, un’enorme falena grande 16 cm

E' la regina delle falene europee. Volando di notte, a causa della sua impressionante apertura alare, viene spesso scambiata per un pipistrello.
La Saturnia del pero, conosciuta anche come pavonia maggiore, è tra le falene più grandi d’Europa. La femmina può raggiungere un’impressionante apertura alare di 15-16 centimetri, mentre il maschio è leggermente più piccolo. Le sue ali, di un elegante colore nocciola sfumato di grigio, sono ornate da quattro grandi “occhi” simili a quelli del pavone: una strategia difensiva utile per spaventare i predatori o distrarne gli attacchi dalle parti vitali del corpo. I margini delle ali sono bordati da una fascia chiara color ocra che ne accentua l’eleganza.
Il bruco di questa specie è altrettanto sorprendente: lungo fino a 10 centimetri, ha un colore verde brillante, arricchito da tubercoli azzurri e ciuffi di peli neri. Durante la sua crescita si nutre voracemente di foglie, soprattutto di pero (Pyrus), ma anche di melo (Malus domestica), noce (Juglans), pioppo (Populus), olmo (Ulmus), albicocco, ciliegio e altri alberi del genere Prunus. A causa della sua dieta, può occasionalmente diventare dannoso per i frutteti.
La Saturnia del pero predilige le zone calde, in particolare quelle ricche di alberi da frutto. È attiva durante la notte, mentre di giorno si rifugia tra le foglie per riposare. La sua distribuzione copre i Paesi dell’area mediterranea, spingendosi fino al Vicino Oriente.
Queste falene sono volatrici potenti e, nel buio della notte, il loro volo può ricordare quello dei pipistrelli. Il maschio possiede due antenne bipettinate estremamente sensibili, capaci di percepire i feromoni emessi dalla femmina anche a distanze di 5 chilometri. Subito dopo l’accoppiamento, la femmina depone fino a 250 uova, sfruttando le ultime riserve energetiche accumulate durante lo stadio larvale, per poi morire. Il maschio, invece, può accoppiarsi più volte.
Un tempo comune, oggi la Saturnia del pero è sempre più rara. Le principali minacce alla sua sopravvivenza sono l’uso diffuso di insetticidi e l’inquinamento ambientale, che ne hanno drasticamente ridotto la presenza in natura.

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