Verso il green pass in Sardegna, dal centro di Cagliari il sì di baristi e ristoratori? Non da tutti: «I controlli vanno fatti a monte»
L'Italia verso il green pass, in futuro molto vicino necessario per accedere a diversi servizi come bar e ristoranti. A Cagliari la voce dei baristi e dei ristoratori del centro.
La Sardegna verso il green pass. Nelle ultime ore Cts e Governo al lavoro e l’Isola, così come tutta Italia, sembra andare verso la sua obbligatorietà per l’accesso a numerosi servizi come ristoranti e bar, ma anche trasporti, fiere, sport, cinema e teatri. Passaporto verde rilasciato solamente a chi ha ricevuto la doppia dose di vaccino, a chi è guarito dal Covid o ha effettuato un tampone, con esito negativo, nelle 48 ore precedenti.
Un pass che pare prossimo a influenzare le nostre abitudini sociali, nella speranza di contrastare la minacciosa diffusione dei contagi, complice la temibile variante Delta. Ma a Cagliari, per i bar e i ristoranti del centro, la voce di diversi addetti ai lavori non sembra levarsi unanime verso il “sì”. Certo, per qualcuno meglio agire così ora, piuttosto che una possibile minaccia di lockdown generale in autunno, soprattutto se di mezzo c’è la sicurezza delle persone e di chi presta servizio. Ma per tanti permangono dubbi e incertezze.
È d’accordo Michela Ghiani dal Bar Centrale di piazza Yenne, teatro degli sciagurati festeggiamenti di massa, in occasione delle partite degli Azzurri di Euro 2020, il cui prezzo si sta pagando ora in termini di diffusione del virus. «Dobbiamo costantemente ricordare alle persone di mettersi la mascherina, dato che manca il senso di responsabilità fra diverse persone».
Multa di 400 euro per i trasgressori e rischio fino a cinque giorni di chiusura per i locali che non si attengono alle regole. E soprattutto, l’onere per i locali di monitorarne il rispetto. Ma per Ghiani il problema non sussiste, anche se la misura dovesse in qualche modo tagliare fuori una fetta di clientela di non vaccinati. «Preferiamo rispettare le regole, in nome della sicurezza dei clienti e nostra».
Alla Marina c’è chi pensa, anche, che si dovesse correre ai ripari molto prima. Dallo storico bar di Tiffany, nella piazzetta Savoia, meta ambita di gustosi aperitivi, Pier Paolo Virdis appare chiaro: «Si doveva agire prima, adesso i contagi sono molto alti, era inevitabile. Perché il green pass non è stato adottato prima?».
Tutti d’accordo? No, di certo. Perché dalle vie della movida ecco levarsi i dubbi e le perplessità di chi vede nel green pass alcuni impedimenti non di poco conto. Dalla Grotta Marcello, nella piazza Yenne, c’è chi vede il rischio di un taglio della fetta di clientela giovanile. «Oggi chi è che ha la doppia dose di vaccino, soprattutto fra i ragazzi?». Basterebbe, allora, anche solo la prima, col tampone negativo, ma ecco il problema: «Chi se lo fa? A pagamento non converrebbe a nessuno, quanto costerebbe a una persona venire a mangiare una pizza?».
Il rischio, dunque, potrebbe essere quello di scoraggiare molta clientela. «Devono accelerare coi vaccini, non c’è nulla da fare. Ci sono persone che devono aspettare settembre per la prima dose. Col green pass, quando andrebbero a cena fuori?», il commento dal locale nella piazza Yenne.
Un discorso non dissimile dalle parti del Corso Vittorio Emanuele. Dal noto Ellusu, Renato Sarigu commenta scetticamente: «I controlli devono essere fatti a monte, non dai locali. Non possiamo fare gli sceriffi al posto di altri. Chi non ha il green pass entra col tampone: e dovremmo farli qui?».
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