“La verità è semplice e terribile… Non sono più la Dalida di cui si raccontava, nel silenzio di sere buie, fra bisbigli e brividi. Sono stata la fanciulla del borgo che impazzì per colpa del diavolo. A me solo tu, Madre del Vento, hai raccontato fiabe nere, tenendomi seduta sulle ginocchia; mia madre non lo fece mai.”
Antiche leggende e cicatrici del passato: su questi due punti si intrecciano le vite di Dalida e Lucia, a Guelar – piccolo borgo di pescatori sulla costa sarda –, in quella che è l’ultima fatica letteraria di Emma Fenu, scrittrice algherese giramondo, “La madre del vento” (edito Gli scrittori della Porta Accanto).
Dalida è segnata da un dono inquietante che ha profondamente influenzato la sua esistenza, fino a condurla tra le mura di un manicomio. Lucia, alla ricerca delle proprie radici, scopre il destino che lega entrambe, fatto di sensi di colpa e segreti.
Attraverso una serie di rivelazioni strazianti e sconvolgenti, emerge un affresco familiare su cui pesa il fardello dei ricordi e una maledizione che ha segnato un’intera generazione. Al centro, la figura enigmatica della Madre del Vento, un’entità potente e ambigua, una presenza misteriosa che governa le acque, i venti e le tempeste, più reale di una madre di carne.
Quando e come arriva l’ispirazione per questa nuova storia?
Arriva una notte di febbraio del 2020, quando mio marito riceve la notizia della morte di sua nonna: ci riferiscono le sue ultime parole, pronunciate in perfetta lucidità, rivolte alla suora che la accudiva: “Tienimi la mano, stanotte ho paura.” E allora ho ricordato la sua vita e quella di mia nonna, entrambe legate alle tempeste della Candelora, e quella delle tante donne conosciute e sconosciute a cui desidero dare voce.
Parlaci dell’ambientazione, Guelar, piccolo borgo di pescatori.
Guelar è l’anagramma di Alguer, il toponimo catalano di Alghero. La storia inizia durante il periodo precedente alla seconda guerra mondiale e prosegue fino al ‘69. Guelar è un borgo medievale sul mare, abitato soprattutto da pescatori. Un borgo di preghiere e riti pagani, di donne potenti e forti, profumate di maestrale, anice e farina. Un borgo in cui gli spiriti si aggirano trasportati dal vento.
Due donne, Lucia e Dalida, i cui cammini si intrecciano: cosa ci puoi dire sui personaggi femminili di questo tuo nuovo lavoro?
Dalida e Lucia rappresentano il percorso sociale dell’emancipazione femminile e quello interiore della ricerca delle radici e del perdono. Di più non posso svelare!
Ma non solo: una terza entità, potente, la Madre del Vento, una figura da sempre presente nelle leggende sarde.
La mia madre del Vento si ispira alla creatura della tradizione sarda, principio femminile dell’elemento naturale, ma diventa anche la personificazione della morte. In lei si manifesta l’archetipo della Madre di Jung: amorevole e tremenda al contempo.
Dono inquietante, quello che possiede Dalida: ma i doni inquietanti, quelli che uniscono morte e vita, sono da sempre benedizione e maledizione insieme nell’Isola.
Dalida é “segnata” fin dalla nascita: ha il dono di prevedere le tempeste, ma la sua indole ribelle la condannerà a essere una strega maledetta, priva di amore.
La Sardegna sempre – e da sempre – presente nei tuoi libri: pur essendo lontana, sei sempre nel cuore della Sardegna. Cosa vuol dire essere figlia dell’Isola per te?
Come per Grazia Deledda, la Sardegna è per me il teatro in cui si mettono in scena sentimenti ancestrali: amore, odio, vendetta, perdono. Sono fatta anche io, come i miei personaggi, di maestrale, pietra, elicriso, mare e miele.
Quanto è sottile, secondo te, il confine tra morte e vita?
Morte e Vita si tengono per mano come le figure degli arazzi sardi: sono madri entrambe, sono sacre e si sfiorano. Talvolta si abbracciano.
Insegnante di italiano per stranieri e di arte e performance, organizzatrice di eventi e festival, curatrice di collana per la casa editrice Gli scrittori della porta accanto, scrittrice di saggi e romanzi. Ma non solo: intervisti e recensisci libri, sei tutor di scrittura creativa e molte altre cose. Come si trova il tempo di fare tutto?
Una vita non mi basta, ho bisogno di comunicare e di respirare arte e relazioni culturali e umane. E soffro di insonnia!
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