Ernő Erbstein, l’allenatore ebreo del Cagliari anni ’30 che sopravvisse alla Shoah e morì a Superga
Quella di Ernő Egri Erbstein, leggendario tecnico ebreo ungherese direttore tecnico del Grande Torino, è una storia incredibile: scampato più volte allo sterminio nazista, trovò la morte nel 1949 nella tragedia di Superga. Chiamato alla guida del Cagliari fra il 1930 e il 1932 portò per la prima volta i rossoblù in Serie B. Si può senz'altro dire che fu uno dei primi a far conoscere alla Sardegna il calcio moderno.
C’è un po’ di rossoblù nella parabola tragica e grandiosa di uno dei più grandi maestri di calcio in Italia del primo ‘900. Ernő Egri Erbstein, calciatore e allenatore ungherese nato nel 1898 in una famiglia ebraica della Transilvania, prima di diventare uno dei fautori del “Grande Torino”, allenò anche il Cagliari.
Si può quasi dire che fu proprio Erbstein a portare il calcio moderno in Sardegna. Nel 1930, dieci anni dopo la nascita della società rossoblù, il tecnico magiaro, reduce dalle sue prime esperienze in panchina agli ordini della Fidelis Andria, del Bari e della Nocerina, fu chiamato a guidare i sardi nel campionato di Divisione Meridionale.
Il connubio tra Erbstein e il Cagliari fu un successo. I rossoblù vinsero il girone F del torneo di Prima Divisione e il successivo girone finale del Mezzogiorno, riuscendo ad accedere per la prima volta al campionato di Serie B. Anche qui gli uomini agli ordini dell’allenatore ungherese centrarono un ottimo piazzamento, un tredicesimo posto che valse la salvezza.
Purtroppo nella stagione successiva furono i problemi economici del Cagliari a separare i destini di Erbstein da quelli della Sardegna: l’artefice della prima promozione in Serie B tornò in Puglia, al Bari, mentre il club rossoblù fu dichiarato fallito e costretto a un lunghissimo purgatorio.
Lontano dalla Sardegna la carriera e la vita di Erbstein attraversano fino in fondo tutti i principali avvenimenti degli anni ’30. Fra il 1933 e il 1938 “Ernesto” – molti lo chiamavano così italianizzando il suo nome – fu protagonista di una splendida pagina di calcio alla guida della Lucchese, piccola squadra di provincia trascinata fino alla Serie A a suo di bel calcio e tanto coraggio. La squadra toscana, agli ordini di Erbstein, raggiunse un miracoloso settimo posto nella stagione 1936-1937 e un quattordicesimo piazzamento (e salvezza) nel campionato successivo.
Ma come abbiamo già accennato la parabola del mago ungherese del calcio si scontrò duramente contro i crudeli quanto beffardi risvolti della storia. La promulgazione delle leggi razziali del 1938 lo coinvolse direttamente e lo costrinse a salutare la sua amata Lucca, dove le sue bimbe non furono più accettate a scuola in quanto ebree. Erbstein si accasò a Torino, dove l’ambiziosa dirigenza gli offrì la panchina e la possibilità per le figlie di frequentare una scuola privata. Il suo inizio sulla panchina dei granata fu scoppiettante, ma venne interrotto bruscamente. Nel gennaio del ’39, fu costretto a lasciare l’Italia per via delle sue radici ebraiche.
Dopo varie peripezie trascorse tra Germania e Ungheria, il presidente del Torino Ferruccio Novo riuscì a farlo rientrare in Italia trovandogli un impiego in fabbrica e chiedendogli in cambio qualche consiglio tecnico-tattico sulla gestione della squadra. Fu Erbstein a suggerire l’acquisto di “un certo” Valentino Mazzola, futura leggenda granata e suo capitano. Erbstein in quel periodo faceva la spola tra l’Italia e l’Ungheria. A Budapest, nel 1944, fu arrestato dai nazisti durante l’assedio della città e venne deportato in un campo di lavoro da cui riuscì poi a scappare. Nel secondo e ultimo assedio della capitale ungherese il tecnico riuscì a mettersi in salvo grazie all’eroico progetto di Raoul Wallenberg, voluto dal presidente americano Roosevelt per salvare gli oltre 800mila ebrei ungheresi. L’ultimo grande aiuto per salvarsi Erbstein lo ricevette ancora una volta dal presidente Novo che lo tenne nascosto fino alla fine della guerra.
Poi, sempre il dirigente granata, lo volle alla guida dei suoi campioni in qualità di direttore tecnico: il connubio produsse una delle squadre più forti della storia del calcio italiano, il “Grande Torino”, che annoverava giocatori del calibro di Valentino Mazzola, Ezio Loik e Franco Ossola.
Le incredibili vicende umane e sportive di Ernő Egri Erbstein culminarono con la più grande tragedia che il calcio e lo sport italiano abbiano mai conosciuto: il 4 maggio del 1949, l’aereo sul quale viaggiava il Torino, si schiantò sulla collina di Superga. Erbstein, sopravvissuto all’olocausto e reduce da una vita tanto ricca quanto tormentata, morì insieme agli altri 30 passeggeri del Fiat G.212 della compagnia aerea ALI.
© RIPRODUZIONE RISERVATA