Cimitero di Bonaria, la singolare storia delle statue di due vedove scolpite mentre erano in vita

Una competizione a suon di scalpelli, due padroni indiscussi dell’arte funeraria del cimitero cagliaritano e due statue femminili. Vi raccontiamo la storia delle vedove Todde e Raspi.
Non si può parlare del cimitero di Bonaria senza citare Giuseppe Sartorio. Il “Michelangelo dei morti” – così è stato soprannominato – ha infatti realizzato per questo luogo alcune delle opere più amate e caratteristiche: pensiamo alla statua di Efisino Devoto, all’Ultimo bacio o alla tomba del giovane Gastone Ciprietti.
Ma a differenze di queste, una non ha come protagonista il defunto a cui è dedicata, ma sua moglie: ci stiamo riferendo a Luigia Oppo, meglio conosciuta come la vedova Todde. Sposata con Giuseppe Todde, noto giurista e professore cagliaritano, la donna è il fulcro dell’opera: in questo marmo del Sartorio il defunto è rappresentato solo da un busto. Tutta la scena si incentra sulla vedova, sulla sua devozione e tristezza. E dal 1894 – anno in cui prese vita la scultura – Luigia Oppo riuscì ad osservarsi ritratta nel marmo per circa 27 anni, ossia fino alla sua morte avvenuta nel 1921.
Nell’esprimere tutta la sua abilità, pare che Sartorio abbia voluto riprendere (o forse sfidare) la tecnica di Ambrogio Celi. Quest’ultimo infatti aveva già scolpito nel marmo una donna, lasciando spazio marginale al defunto: possiamo ammirarla nel viale centrale del vecchio cimitero e prende il nome di vedova Raspi. Risalente al 1881, anche in questo caso la donna è rappresentata a grandezza naturale e i suoi occhi tristi sono rivolti alla corona di fiori che porta in mano.
Non è chiaro se l’idea di riprendere un monumento già esistente sia da attribuire al giurista Todde – il quale commissionò la sua tomba al Sartorio mentre era ancora in vita – o se invece appartenga in tutto e per tutto al Michelangelo dei morti. Sono in tanti a pensare che questa sia stata una vera e propria sfida a suon di scalpello, sfida decisamente vinta dal Sartorio.
Nei minuziosi particolari, nella simmetria e nelle proporzioni il Michelangelo dei morti supera nettamente Celi. E se la vedova Raspi era considerata sino ad allora una delle opere più belle del cimitero, differente da tutte le altre, Sartorio cambiò decisamente la sua sorte. Niente di strano se pensiamo che lo scultore fosse assolutamente convinto di non avere rivali. Forse proprio questo fatto, a pochi anni dal suo arrivo in Sardegna, lo spinse subito a mettere a tacere Celi.

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