Il territorio sardo come “museo aperto”: la Sardegna verso l’Unesco per il riconoscimento del paesaggio culturale regionale

Il Consiglio comunale ha approvato all'unanimità un ordine del giorno anche per la definizione del territorio sardo quale “museo aperto”
Il Comune di Cagliari si muove verso l’Unesco. Insieme a oltre 150 Comuni della Sardegna che già hanno approvato l’importante atto che punta al riconoscimento del paesaggio culturale sardo, anche il Capoluogo regionale chiede all’unanimità, che venga riconosciuta la specificità storica, culturale, ambientale, espressa attraverso migliaia di manufatti che la storia ha lasciato ai cittadini.
“È stato aggiunto un importante tassello che consolida il valore di un progetto unitario, forte e identitario”, spiega Raffaele Onnis, capogruppo dei Riformatori Sardi relatore della proposta discussa e approvata nel corso dell’ultima seduta dal Consiglio comunale. “Insieme possiamo e dobbiamo costruire il futuro della nostra Isola, partendo da quel che di più prezioso abbiamo: il paesaggio culturale e le sue espressioni nel tempo”.
Diversi i consiglieri intervenuti per dare il proprio contributo al dibattito: Camilla Soru (PD) ha rimarcato la coerenza dell’atto per la tutela del Paesaggio in coerenza con il Piano paesistico regionale; Roberto Mura (PSD’Az) cofirmatario della proposta; Matteo Lecis Cocco Ortu (PD) ha definito positiva la proposta perché punta nella direzione della tutela e valorizzazione del Paesaggio come faro guida; Umberto Ticca (Riformatori Sardi) ha parlato dell’importanza del patrimonio culturale sardo, da valorizzare sotto ogni profilo, in primis economico; Guido Portoghese (PD) ha sottolineato la bontà dell’atto per il riconoscimento della specificità storica dell’intero Paesaggio culturale e archeologico, piuttosto che di un singolo manufatto; Francesca Mulas (Progressiti) ha definito l’iniziativa una proposta che merita plauso e sostegno, auspicando che possa essere di supporto alla ricerca della verità storica scientifica del passato. Dello stesso avviso anche Marzia Cilloccu (Progetto Comune).
Il progetto ha raccolto sino a oggi il consenso della politica, del mondo accademico, della cultura e della scienza, e si inserisce nell’ambito delle iniziative volte all’inserimento del principio di insularità in Costituzione.

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Martina Murenu, da Barrali agli Stati Uniti: “Il sogno americano non esiste più, ma resta la determinazione che abbiamo per realizzarci”

"Ricordo di essermi svegliata in una calda giornata d'agosto e di aver deciso di partire. Avevo soli 20 anni". Una delle tante italiane che ha scelto di lasciare il nostro Paese ma che ha un insegnamento importante da dare
“Ricordo di essermi svegliata in una calda giornata d’agosto e di aver deciso di partire. Avevo soli 20 anni”. Una delle tante italiane che ha scelto di lasciare il nostro Paese ma che ha un insegnamento importante da dare
Troppi giovani lasciano l’Italia per trovare un lavoro retribuito il giusto, altri lo fanno per realizzare i propri sogni che nel nostro Paese sono irraggiungibili. Vi vogliamo raccontare la storia di Martina Murenu, 35 anni, nata a Cagliari, cresciuta in un piccolo paesino nel sud Sardegna chiamato Barrali. Poi il trasferimento nel capoluogo per frequentare il liceo linguistico Eleonora d’arborea, per poi cambiare totalmente percorso di studi e appassionarsi alla cucina, presso l’istituto Antonio Gramsci di Monserrato, dove poi si è diplomata. “Durante la scuola, lavoravo spesso in campagna, dalle 5 del mattino in poi. I sacrifici non mi hanno mai spaventata e mi è sempre piaciuto imparare, parlare con persone umili. Cercare di capire come fosse la vita di chi lavora per anni la terra e quanto possa essere dura”.
Una volta diplomata, Martina ha scelto di partire in Inghilterra.
Martina, raccontaci questa esperienza
Ricordo di essermi svegliata in una calda giornata d’agosto e di aver deciso di partire. Avevo soli 20 anni. Ho iniziato come lavapiatti presso l’hotel Champneys, uno dei più famosi e importanti, frequentato a suo tempo da Stanlio e Olio, Merylin Monroe, la regina Elisabetta e tante altre star internazionali. Dopo qualche mese diventai aiuto chef, poi mi chiesero se volessi fare la cameriera e da quel momento ho deciso di alternare per imparare più mansioni possibili. Nello stesso periodo però, ho lavorato anche in una caffetteria, pulivo i battelli e andavo ad aiutare nella lavanderia di una mia amica. Un anno dopo, mi trasferì a Londra, dove dopo qualche mese da commis chef, stavo per essere promossa come chef, ma rifiutai, perché non era ciò che realmente volevo. Dopo questa grande esperienza, tornai in Sardegna per un bel po’ di anni. Qui ho lavorato sempre nella ristorazione e poi in un agenzia di viaggi.
Gli Usa ti hanno cambiato la vita…
Sì, tre anni fa decisi di fare un viaggio di piacere negli Stati Uniti, poi è capitata la fortuna di poterci restare e ho iniziato a vivere il mio sogno. Ma attenzione, per i primi due anni è stato un incubo. Iniziai a soffrire di ansia e attacchi di panico. Ma non mi sono arresa, anche mentre stavo in un letto di un ospedale, mi ripetevo: “è solo un brutto periodo, passerà, ne sono sicura”. Ed è realmente stato così.
Quindi esiste ancora il sogno americano?
Posso raccontare la mia esperienza. Perché dopo 16 anni di lavoro nel settore della ristorazione, ho potuto abbandonare quel mondo -che mi ha dato, ma anche tolto tanto- per intraprendere, dopo un percorso di studi, la carriera di Technical SEO EXPERT. Il frutto di questo risultato lo devo alla mia testardaggine e determinazione.
Quando sono partita il mio intento era quello di godermi il mio viaggio di piacere, poi invece il destino ha voluto che restassi e ho avuto la possibilità di vivere il mio sogno più grande.
Cosa è successo?
Ho deciso di superarmi e realizzarmi, poco a poco. Mi sento veramente soddisfatta e ringrazio anche tutti gli ostacoli perché mi hanno stimolato ad andare avanti a non arrendermi e a ottenere ciò che volevo. Sul sogno americano rispondo che credo ormai sia morto 30 anni. Però posso dire che se uno è un sognatore, che sia in America, Australia, Italia, Spagna, ripeto, se credi nel tuo sogno, quel sogno non potrà mai morire. Quindi per me la cosa importante è sognare e puoi farlo ovunque tu voglia, anche dal letto di casa tua.
Ma l’Italia sembra che cacci i suoi giovani migliori?
L’Italia ha un problema con i salari troppo bassi. I contratti che si firmano nel nostro Paese non prevedono quasi mai una giusta retribuzione. Gli orari spesso non sono umani e i dipendenti, soprattutto nella ristorazione non hanno due giorni liberi consecutivi. In Italia bisogna imparare a riconoscere il valore e il potenziale del proprio dipendente. Dare delle reali promozioni, pagarlo in tempo, riconoscergli gli straordinari.
Lasciare certo libere le persone di poter fare il proprio percorso, anche all’estero se vogliono ma al contempo agevolare, spronare e riconoscere quanto siamo validi così da convincere molti di noi a restare.
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