La funzione di direttore del dipartimento di Ricerca e Sviluppo del MoMA richiede una responsabilità costante nel comprendere i criteri più efficienti per arrivare al pubblico. «Credo fermamente che i musei agiscano come un’agopuntura culturale per la società. Cerco di riflettere sul contesto in cui la vita si srotola, con le laboriosità, le tensioni e le pressioni. E in quest’ottica ampia ponderare i musei unicamente come luoghi dove andare a vedere arte è parecchio riduttivo».
Ha curato mostre oltre che negli Stati Uniti, in Giappone, Francia e Italia. Collabora con riviste specializzate ed è autrice di numerose pubblicazioni. Il dialogo con l’Italia è rilevante, in particolare con Milano. Certa che sia ancora la capitale mondiale del design, Paola afferma che alla design week si potrebbe fare molto di più, spostando le attenzioni dal mobile al design in generale. Certo, non se ne occuperà lei: abdicare al MoMA è impensabile. «Tutte le proposte che ho ricevuto, non solo dall’Italia, non mi garantivano la visibilità e il potere che ho qui a New York. Al Moma se alzo il telefono raggiungo chiunque, sempre. È il posto di lavoro ideale».
Però le opportunità di collaborare non mancano. L’ultima è stata addirittura l’impegno per la XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano nel 2019.
Paola Antonelli, “She”, intelligente, intuitiva, tagliente, personalità autorevole, da sempre promulga il design come materia universale e filosofica al servizio della società, sostenendone la funzione di catalizzatore di cambiamento nel mondo, connessione tra pensiero e vita. È una rivoluzione garbata e ostinata la sua, che svolge attraverso la didattica, l’attività divulgativa in congressi internazionali e design week, le visite alle scuole e negli studi. Per lei “il design è tutto e ovunque”: nella politica, nella tecnologia, nella genetica, come nella digitalizzazione. Ama innalzare ponti tra i saperi, che riassume in costrutti potenti, contro ogni preconcetto. Nel mentre si dedica alla ricerca, all’ascolto e alla difesa dei valori in cui crede.
Sulla tanto dibattuta ‘fuga dei cervelli’ dall’Italia ha un’idea chiara: «L’Italia è ancora al top, almeno per quanto riguarda il settore design. Finiamola con la storia che i talenti italiani scappano tutti e soprattutto ricordiamoci che i marchi italiani attirano, oggi come in passato, designer da tutto il mondo».
E la professoressa menziona con piacere i suoi esordi: «Non è facile affiorare, talmente tante sono le sfide che devi affrontare. Ci sono così tanti festival e fiere in giro per il mondo che alla fine diviene arduo farsi notare. Ma proprio questo è uno dei lati che amo di più del mio lavoro: le numerose chances che dona a chi è capace e voglioso di mettersi in luce».
Un’analisi è sul differente modo d’approcciarsi al lavoro negli Stati Uniti rispetto all’Italia. «In America l’organizzazione è molto impostata, raramente ci sono intoppi, c’è limpidezza e credibilità nelle informazioni che vengono fornite. Questa è una forza degli americani ma anche una loro debolezza perché a volte c’è necessità della ‘fluidità’, della capacità tutta italiana di far funzionare comunque le cose. Di diversità così ce ne sono molte e posso dire di essere felice a poter esercitare in ambedue le realtà».
A chi le domanda della Sardegna, Paola con orgoglio ribatte di appartenere a questa terra. «Quando sono nell’isola sto bene come in pochi altri posti e devo dire che ho preso le decisioni più importanti della mia vita sugli scogli sardi. La scelta che mi ha cambiato la vita, quella di lasciare gli studi di Economia per passare ad Architettura, l’ho fatta mentre mi trovavo a Isola Rossa. Che dire, quando sono nel mare della Sardegna mi pare di essere nel mio brodo primordiale. Sono soddisfatta come non mi succede spesso altrove».
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