Ristoranti e pizzerie, si riparte: titolari preoccupati, posti ridotti e il plexiglass non piace ai clienti
Ristoranti e pizzerie lunedì riaprono: ecco come si stanno attrezzando a Cagliari. E sulle linee guida dell'Inail e dell'Istituto superiore di sanità, tra i titolari dei locali della ristorazione cagliaritana, la voglia di ricominciare è tanta ma c'è anche la preoccupazione che le troppe restrizioni riducano il fatturato e l'entusiasmo dei clienti
La notizia che tutti aspettavano è arrivata: da lunedì le persone potranno prenotare un tavolo al ristorante, in pizzeria e al bar e sedersi a consumare il proprio cibo preferito invece di farselo semplicemente consegnare a domicilio o portarlo a casa con l’asporto. La felicità per questa novità dopo la fase più acuta dell’emergenza coronavirus accomuna clienti e titolari, tuttavia questi ultimi dovranno ovviamente rispettare le norme di sicurezza. Due giorni fa è uscito il documento tecnico con le linee guida che l’Inail e l’Istituto superiore di sanità (Iss) hanno messo a punto e che prevedono, tra le altre cose, un distanziamento di almeno due metri tra un tavolo e l’altro (quattro metri quadri tra ogni cliente) , prenotazione obbligatoria, areazione continua, sanificazione frequente. L’opinione dei diretti interessati è diversa, l’unica cosa in comune è la consapevolezza della riduzione della mole di lavoro.
Magdalena Perria, titolare insieme a Martina Gorgoni della pizzeria Locanda Sa Matracca, spiega come è stato attrezzato il locale: «Non metteremo plexiglass. Abbiamo già acquistato un termometro a infrarossi, gel monodose da regalare ai clienti, mascherine e anche la maschera protettiva in plastica. Abbiamo acquistato gel disinfettanti per le superfici che metteremo anche in bagno a disposizione dei clienti. Poi un dispenser automatico da lasciare in sei punti diversi del locale, adesivi che delimitano le aree, spray igienizzanti per le mascherine, un depuratore per il riciclo dell’aria e abbiamo deciso di lasciare un tavolo in più ad ogni cliente dove poggiare le pietanze in modo che il cameriere non si debba avvicinare. Inoltre abbiamo assunto una persona per gestire le entrate in maniera regolare». È ben consapevole che il distanziamento obbligatorio dei tavoli avrà come conseguenza una diminuzione dei posti a sedere: «Abbiamo 76 coperti fissi che diventeranno 22 – spiega – Ovviamente la situazione è pesante per tutti ma sono convinta che noi ristoratori dobbiamo dare un messaggio di sicurezza. Non sono d’accordo con chi non vuole riaprire, credo che lanci il messaggio sbagliato al cliente, ovvero che non possiamo garantire un ambiente pulito e igienizzato correttamente. Mi rendo conto che passare da settanta persone a venti sarà un duro colpo, ma se non partiamo nessuno si fiderà più di mettere piede in un ristorante».
«Preferiamo non guadagnare nulla noi piuttosto che perdere il rapporto umano che sta dietro al nostro lavoro – prosegue Magdalena – Poi piano piano tutto tornerà come prima. Noi già lavoravamo su turni, quindi anche ora faremo due turni per cercare di ammortizzare i costi il più possibile. Per fortuna il nostro staff è ancora al completo, non abbiamo licenziato nessuno. Il nostro personale è stato super flessibile e la nostra cuoca in questo periodo si è trasformata nella ragazza delle consegne e io ho preso il suo posto in cucina». E tiene a sottolineare che i prodotti sono rigorosamente sardi: «Mozzarella artigianale, salumi, formaggi, questo periodo poi abbiamo deciso che anche tutte le verdure le avremmo acquistate a chilometro zero e prendiamo tutto da Sardelivery, perché oltre essere fiduciosi dobbiamo essere i primi a far girare l‘economia in Sardegna acquistando dal nostro vicino di casa».
Domenico Maurizio Loi, titolare della pizzeria Federico Nansen nel corso Vittorio Emanuele, aspetta di saperne di più delle linee guida quando saranno ufficiali: «Non c’è ancora nulla di scritto, quindi non sappiamo ancora come comportarci. Se dovessimo rispettare le distanze dei tavolini non ci sarebbero le condizioni per attuarle, a meno che il Comune di Cagliari non faccia delle deroghe per quanto riguarda il plexiglas o altro. In realtà è disposto a concederci lo spazio esterno, ma le mie condizioni lo impediscono: non sono nella zona pedonale, poi per le dimensioni del marciapiede. Insomma, ancora brancoliamo nel buio e si continua con la vendita d’asporto e sulle piattaforme di delivery».
Anche per Paolo Bandino, titolare insieme al fratello Stefano del ristorante pizzeria La Lira in viale La Playa, la vede grigia: «Prima dell’emergenza il sabato venivano tra le 80 e 90 persone, ora riusciremo a fare a malapena una ventina di coperti. Quattro metri quadri tra i clienti è troppo, due metri tra i tavoli lo stesso. Ho sistemato 23 tavoli da due posti ciascuno, certamente non si potranno organizzare pizzate di venti persone in uno stesso tavolo. Se ci avessero detto che sarebbe bastata una distanza di un metro, avremmo potuto contare su 45 coperti. E no, noi non metteremo il plexiglass, alla gente non piacerebbe. Per il resto, il locale verrà sanificato costantemente».
Ivan Lorusso, uno dei proprietari della pizzeria Mimì in via Is Mirrionis, dice: «Stiamo cercando il più possibile di rispettare le linee guida. In sala abbiamo drasticamente ridotto i tavoli, ora sono sei, per una capienza di non più di quindici persone, mentre prima ne ospitavamo anche una sessantina. I costi sono alti e le linee guida troppo restrittive. Aspettiamo un altro protocollo e seguiremo le nuove normative. Non si può fare altrimenti, ci adatteremo e non è il caso rischiare sanzioni salate».
Per Matteo Ghiani, proprietario de “La Staffa”, nel corso Vittorio Emanuele, «le linee guida sono talmente restrittive da non mettere in condizioni di lavorare nessuna attività. È impensabile sostenere i costi con la metà dei coperti. Abbiamo un locale piccolo, classico del centro storico: lungo e stretto. Con queste linee guida riusciremo a mettere al massimo cinque tavoli all’interno e due o tre all’esterno, per un totale di dodici-quindici persone. Prima della pandemia riuscivamo anche a ospitare 54 coperti tra interno ed esterno». Anche lui dice no al plexiglass: «È un’opzione che abbiamo preso in considerazione ma non essendoci direttive inerenti abbiamo accantonato l’idea. Se uscisse qualche protocollo saremo disposti, qualora ci convenisse per recuperare qualche coperto, investire anche su quello. Il locale viene sanificato quotidianamente più volte al giorno; bagni, ingresso e zona dove si effettuano i pagamenti sono attrezzati con apposito gel disinfettante a disposizione dei clienti e dei ragazzi che si occupano del delivery».
«La limitazione del contagio è fondamentale, ma trovo che trasformare un ristorante in una sala triage sia abbastanza una follia – afferma Fabio Cocco, titolare del ristorante “Sei Ottavi” – Andare mangiare fuori significa anche fare un’esperienza di cultura enogastronomica, di condivisione e relax. Se il ristorante diventa un luogo ostaggio di paure, mascherine, odore di amuchina e guanti in lattice, sinceramente stiamo ammazzando la poesia. Forse aiutiamo a sconfiggere il virus, ma non rendiamo un buon servizio alla cultura del cibo e alle storie di popoli e di lavoro che c’è dietro ogni sapore. Stendo un velo pietoso sull’ipotesi secondo cui dovremmo chiedere l’autocertificazione per far sedere vicine le persone conviventi: io faccio il ristoratore, non lo sceriffo o il passacarte della burocrazia. Non sta a me accertare una cosa del genere. Oltre a questo c’è la riduzione dei coperti, problema non da poco. Stiamo in ogni caso parlando di semplici linee guida dell’Inail, ma ad oggi, a tre giorni dalla presunta riapertura, non esiste ancora nessuna certezza, nessun decreto, nessuna indicazione da parte del governo su cosa dobbiamo fare. E organizzare spazi, strutture, personale e lavoro in un ristorante non è una cosa che si può improvvisare in cinque minuti».
«La riduzione dei coperti, se prendiamo per buone le distanze raccomandate dall’Inail, sarà consistente – continua Cocco – Nel nostro locale passeremmo da 20 coperti di capienza massima a non più di 6, per cui non converrà neanche riaprire perché non mi rifarei neanche dei costi. Il plexiglas non voglio neanche sentirlo nominare, una serie di paratie di plastica non sono certo belle e non danno il senso del comfort. Perché dovrei spendere un sacco di soldi per imbruttire il mio locale (e si, il plexiglas oltretutto costa parecchio)? No, se devo fare ristorazione con il plexiglas preferisco non farla», conclude.
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