Gli ospedali nella Cagliari del Medioevo: alla scoperta di una sanità che (per fortuna) non esiste più

Quali erano gli ospedali nella Cagliari del Medioevo? E come funzionava la sanità? A quanto pare non troppo bene, ed era più prudente non ammalarsi: tra barbieri che nelle loro botteghe si cimentavano in operazioni chirurgiche e medici che, tra una diagnosi sbagliata e l’altra, avevano il compito di fare barba e capelli a pazienti e infermieri…il quadro non appare molto rassicurante.
di Carla Cossu
Immaginate di venire improvvisamente catapultati nella Cagliari del Medioevo. Se veniste colpiti da un malanno, dove andreste a farvi curare? Nei quartieri storici della città un tempo esistevano diversi ospedali: gli unici di cui conosciamo i nomi sono l’ospedale di S. Lucia a Castello, quello di San Leonardo in Largo Carlo Felice e quello di S. Antonio in Via Manno, ma secondo gli studiosi dovevano esisterne anche altri, di cui si è persa memoria. Inoltre, anche la loro organizzazione riserva grosse sorprese: per i medici turni massacranti e mansioni decisamente inusuali e per i pazienti un trattamento non proprio a cinque stelle.
Il primo ospedale di cui abbiamo notizia è quello che sorgeva a Santa Igia, l’attuale Santa Gilla; è il Papa Gregorio Magno in persona a citarlo in una sua lettera dell’anno 604, facendo intendere che la struttura non doveva offrire un servizio ottimo: anzi, il Vescovo cagliaritano Gianuario subì una bella tirata d’orecchie papale, a causa dell’incuria con cui lasciava gestire l’ospizio.
Per tutto il periodo altomedievale le testimonianze storiche sono scarse ma, col passare dei secoli, le fonti scritte tornano a darci qualche notizia. L’ospedale principale, nonché quello di cui abbiamo maggiori informazioni, era quello di Sant’Antonio in via Manno, presso l’omonima chiesa. Fu fondato nel 1338 dagli Aragonesi e, nonostante il passaggio di mano tra varie amministrazioni (fu gestito, tra i tanti, dai Monaci Antoniniani e dai Fatebenefratelli) non si poté mai definire una clinica d’eccellenza.
I pazienti erano divisi in tre sezioni: una maschile, una femminile e una mista, per chi era affetto da patologie veneree. Quest’ultima sezione era detta “stufa”, poiché i malati venivano curati con l’uso di fumi e vapori; a dire il vero è probabile che finissero lì anche tanti lebbrosi, dato che lebbra e sifilide erano spesso confuse, ma non preoccupatevi, tanto la terapia era piuttosto inutile in entrambi i casi. E i medici che ruolo avevano all’interno? Innanzitutto non avevano molto tempo libero, dato che prestavano assistenza ai pazienti sia di giorno che di notte e sia nei giorni festivi che feriali. Inoltre, tra i loro compiti rientrava anche quello, una volta al mese, di tagliare barba e capelli a tutti gli ammalati e al personale di servizio. E gli infermieri? Erano galeotti, a cui il lavoro gratuito in ospedale poteva garantire uno sconto di pena. Il risultato, come è facile immaginare, non era dei migliori: le carte d’archivio parlano di locali sudici, biancheria vecchia e mal lavata e pazienti trascurati a cui venivano erroneamente fatti assumere medicinali destinati ad altri degenti. Nonostante questi inconvenienti l’ospedale accoglieva un gran numero di ammalati: nel 1685 pare che contasse ben 1800 ricoveri annui.
Ma, oltre a quello di Sant’Antonio dovevano esserci anche altri sanatori in città. Nei primi decenni del Duecento era attivo, nelle vicinanze dell’attuale Banca d’Italia di Largo Carlo Felice, l’ospedale di San Leonardo di Bagnaria che, vista l’ubicazione nei pressi del porto, era destinato principalmente ai marinai; a Castello invece sorgeva l’ospedale di Santa Lucia, in prossimità di quella che è oggi la Scuola Umberto e Margherita, vicino alla Torre di S. Pancrazio.
Bisogna poi ricordare che, al di là delle strutture organizzate, in città vi erano altre personalità che, a vario titolo, si occupavano di alleviare le sofferenze degli infermi: guaritori, ostetriche, ma soprattutto barbieri. Sì, perché se i medici erano responsabili delle chiome dei pazienti, i barbieri lo erano invece dei loro corpi: oltre a tagliare barba e capelli, pulire le unghie e curare i calli, all’occorrenza erano autorizzati a cimentarsi anche in salassi, estrazioni dentarie e piccoli interventi di chirurgia.
Un’altra testimonianza di come la malattia veniva vissuta nel passato, ci è offerta poi dai tanti ex voto che i malati dedicavano ai Santi o alla Vergine, nella speranza di una guarigione; sono giunte a noi riproduzioni di braccia e gambe con lesioni, mammelle affette da tumori o statuette umane con malformazioni e paralisi. Evidentemente, nonostante le tante figure professionali pronte a prendersi cura di loro, i pazienti, nel dubbio, preferivano appellarsi alla Divina Provvidenza, considerata più degna di fiducia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA