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Lo sapevate? Come viene chiamata in Sardegna l’acquavite, il distillato di uva fermentata?
In Sardegna, più o meno clandestinamente si produce da secoli un’ottima acquavite. Viene chiamata in tanti modi ma uno è evocativo e misterioso più degli altri, scopriamo perché.
In Sardegna, tra i silenzi delle campagne e l’ombra complice dei muretti a secco, c’è un segreto che si tramanda da secoli. Un distillato potente, avvolto da storie di fuochi notturni e silenzi ostinati, nascosto sotto terra come un tesoro proibito. È l’acquavite, il distillato di uva fermentata, e in questa terra di pastori e vendemmie, ha un nome che sussurra mistero e identità: filu ’e ferru.
Chiamato anche filu ferru o nel suo nome esteso in lingua sarda filu de ferru, questo distillato non è solo una bevanda: è il simbolo liquido di un popolo che ha imparato a custodire il tempo e il fuoco. È forte, limpido, ardente. Ma soprattutto, è nascosto. Sì, perché il suo nome – che significa letteralmente “filo di ferro” – nasce da una storia affascinante e clandestina. Quando la produzione casalinga era illegale e gli alambicchi dovevano sfuggire ai controlli del fisco e ai Monopoli di Stato, i contadini sardi seppellivano botti e distillatori nel terreno. E lasciavano spuntare appena un sottile filo di ferro, invisibile ai più, ma sufficiente per ricordare dove trovare l’“acqua che brucia”. Bastava una luna piena, un colpo di vanga, e la magia riaffiorava dalla terra.
In alcune zone dell’isola questa bevanda viene ancora chiamata abbardente, letteralmente “acqua che prende fuoco”. E chi l’ha assaggiata sa che non è solo un modo di dire. Con una gradazione alcolica che supera spesso i 40 gradi, il filu ’e ferru ti travolge come il maestrale d’inverno e ti lascia il ricordo sulla lingua come una promessa mantenuta. Le vinacce utilizzate – spesso quelle pregiate della Vernaccia – fanno la differenza, ma quando non bastano, ci pensano gli aromi della macchia mediterranea a dare personalità: finocchietto selvatico, miele d’arancia, mirto, melagrana… un’alchimia di profumi che racconta il paesaggio.
Per molti, è solo un parente della grappa. Ma non è così semplice. Acquavite e grappa non sono la stessa cosa, anche se entrambe nascono dalla distillazione di liquidi zuccherini fermentati. La prima può nascere dal vino (come il cognac francese o il brandy), dalle vinacce (grappa), dalle prugne (slivovitz), dall’orzo (whisky), dal ginepro (gin), dalla canna da zucchero (rum). Eppure, c’è qualcosa di unico nel filu ’e ferru: l’identità sarda, la resistenza, il saper fare contadino che si muove tra regole e leggenda, tra legalità e rituale.
Anche il termine “acquavite” porta con sé un’eco antica. Non nasce dal legame fra acqua e vite, come si potrebbe pensare, ma dall’espressione latina aqua vitae – l’acqua della vita – un nome alchemico, quasi mistico, che sembra custodire una formula eterna, un elisir, un segreto di longevità.
E oggi, anche se la legge ha messo fine alla produzione clandestina, la verità è che in tanti paesi della Sardegna, chi ha una vigna ha anche un piccolo segreto custodito in cantina. Una bottiglia senza etichetta, limpida e trasparente, ma carica di storie e memorie. Una bevanda che non si beve solo con il palato, ma si ascolta con il cuore.
Il filu ’e ferru non è solo acquavite. È una riga sottile di metallo che collega la terra alla memoria, il fuoco alla cultura, l’oggi all’inizio dei tempi.