Odio sui social. Le giornaliste, tra cui una cagliaritana, nel mirino degli haters da tastiera

Essere donna in Italia nel 2019 dovrebbe essere facile, ma la diffusione dei social ha fatto emergere il lato peggiore di tante persone. Se n'è parlato ieri a Roma in un dibattito intitolato "Parole d'odio e violenza di genere. Giornaliste nel mirino degli odiatori della rete".
Essere donna in Italia nel 2019 dovrebbe essere facile. Dovrebbe. Se sul piano dei diritti indubbiamente è stato fatto molto negli ultimi decenni, la diffusione dei social ha però fatto emergere il lato peggiore di tante persone. L’altro giorno è stata pubblicata una ricerca dell’Istat secondo la quale un italiano su quattro (il 25%,) pensa che la violenza sulle donne sia colpa del modo di vestire. Insomma, se porti la minigonna con i tacchi alti e una maglia scollata, te la cerchi.
Ieri mattina si è svolto nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) a Roma, un dibattito intitolato “Parole d’odio e violenza di genere. Giornaliste nel mirino degli odiatori della rete”, promosso dalla Cpo (Commissione pari opportunità) Fnsi in collaborazione con Cpo Usigrai, Cpo Cnog e le associazioni Giulia Giornaliste e Articolo21, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, al quale ha partecipato anche la ministra delle Pari Opportunità e Famiglia, Elena Bonetti. L’evento è stato moderato dalla presidente della Cpo Fnsi Mimma Caligaris. «Il fenomeno della violenza di genere – ha detto, tra le altre cose, la ministra Bonetti – non è tanto diverso dal metodo mafioso. È fondamentale che se ne parli e che si assuma una responsabilità collettiva».
Se essere donna è ancora molto difficile nella nostra società, essere giornalista donna lo è ancora di più. Durante il mio intervento ho raccontato la mia esperienza come target dell’ira degli odiatori via web. A fine giugno 2019 ho commentato l’attracco della Sea Watch a Lampedusa dopo che per giorni e giorni quest’ultima era bloccata in mezzo al mare a causa di una decisione politica dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini che andava contro il diritto internazionale del mare. In quell’occasione ho espresso la mia personalissima solidarietà a Carola Rackete e ai profughi che erano a bordo. Mi sarei aspettata di ricevere risposte contrariate ma argomentate, civili. Non certo decine di insulti sessisti, alcuni dei quali scritti da donne che evidentemente non sapevano neanche loro ciò che avevano scritto. Ma uno dei commenti più orrendi mi invitava a mettermi una corda al collo. L’autore di questo commento – come di molti altri – non è perseguibile dalla legge poiché non rintracciabile (uno dei cosiddetti “troll” che si celano sotto finti profili).
La sensazione di rispondere a queste persone è tanta, ma equivarrebbe ad abbassarsi al loro livello. L’ha detto bene Angela Caponnetto, inviata di Rainews24, nel suo intervento: «Avrei voluto replicare agli haters, ma mi sono detta che avrei fatto il loro gioco». Quello che hanno fatto a lei è ancor peggio di ciò che è avvenuto a me. Per essere salita a bordo della Alex&Co – la nave della ong Mediterranea – ed aver documentato la condizione dei profughi, è stata oggetto di pesanti insulti sessisti anche da parte di alcuni politici; contro di lei è stata fatta circolare una foto nella quale la si ritraeva insieme a uomini di colore, con tanto di allusioni che potete immaginare. La sua testimonianza mi ha quasi commosso.
Ancor più toccante è stata la testimonianza della giornalista di Repubblica Federica Angeli, sotto scorta dopo le minacce di morte per le sue inchieste sulla criminalità organizzata e sugli affari del clan Spada a Ostia. «Ogni tanto piango, ma a chi mi odia faccio vedere che sorrido. Non rispondiamo agli haters con i loro stessi toni, facciamogli capire che non ci piegheremo mai e non abbiamo paura». Ieri Angela e Federica mi hanno insegnato tanto. Mi hanno insegnato che noi donne e giornaliste non siamo sole e che niente e nessuno potrà tapparci la bocca. Che non ci faremo intimidire e non cederemo alle provocazioni. L’ha detto bene la senatrice a vita Liliana Segre in un video-intervento proiettato a inizio dibattito: «Non perdono e non dimentico. Ma non odio». Come ho ribadito nel mio intervento, occorre intervenire per fermare gli odiatori che scambiano la libertà di opinione con quella di diffamare, insultare e minacciare. Ma bisogna farlo realmente, non bastano più le parole di condanna e la solidarietà espressa nei confronti delle vittime dell’odio virtuale. Credo che la Commissione Segre sia un passo fondamentale nella giusta direzione.

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