Dicono sia nato in carcere, su Scialandroni. Non è certo, ma ciò che è sicuro è che da lì sia uscito per entrare nei bar di una Cagliari che non c’è più. Pochi i ragazzi conoscono questo gioco di carte tutto casteddaio, ma fra i meno giovani, termini come “mesu pezza“, “po’ sa manu“, “soddu” o “posta manna” suonano familiari e carichi di nostalgia.
Le regole di Scialandroni non sono semplicissime. Si tratta di un gioco per il quale si utilizzano le carte da scopa genovesi, e che si svolge in cinque fasi: prima e seconda posta, cartetta, scartu e posta manna. Si gioca in quattro (due coppie), e in ogni fase si cerca di realizzare la miglior combinazione di carte possibili. Sommando i punteggi delle carte dello stesso seme che si hanno in mano (con valori che vanno da 10 per le figure a 16 per l’asso, fino a 21 per i sette), si apre e si punta, allo stesso modo di ciò che accade nel poker. Il punteggio massimo è rappresentato da “su pisci”, una combinazione di sei, sette e asso dello stesso seme
Allo stesso modo del poker, saper bluffare è fondamentale a Scialandroni. Sui tavoli dei bar della Cagliari che è stata, non c’erano solo le carte, ma anche le particolari fiches. Per le puntate si utilizzavano infatti i tappi di bottiglia, quasi sempre di birra.