Si rifiutano di pagare il biglietto dei treno perchè “terrapiattisti”. Denunciate 4 persone

#Italia La vicenda che ha dell'incredibile, è avvenuta questa mattina sull'intercity Milano-Ventimiglia. Quattro persone hanno provocato un ritardo di 40 minuti perchè, alla richiesta di esibizione del biglietto del treno, si sono rifiutati di pagarlo definendosi "terrapiattisti", "Stati di se stessi", "cittadini del mondo"
Incredibile storia che arriva dal nord Italia: quattro persone sono state sorprese senza biglietto sull‘intercity Milano-Ventimiglia, e hanno ostacolato le operazioni per la loro identificazione, provocando un ritardo di 40 minuti, perché “terrapiattisti“. Come riportato da TgCom, la vicenda surreale, dopo l’incredulità iniziale, è finita con la denuncia, da parte dei carabinieri, per interruzione di pubblico servizio e rifiuto di fornire le generalità.
I quattro (un 43enne di Verona, un 37enne di Messina, una 37enne di Savona e un 26enne di Ancona) hanno esibito un foglio plastificato definito “Autodeterminazione“, affermando di essere “soggetti di diritto internazionale pregiuridico”, “ambasciatori diplomatici fuori da ogni giurisdizione planetaria” e “Stati di se stessi”: di conseguenza, a loro dire, il controllo effettuato nei loro confronti costituiva un “attacco a uno Stato libero perseguibile dalla corte mondiale”. In pratica si sono definiti “cittadini del mondo” che avevano diritto di viaggiare gratis. Tesi evidentemente molto fantasiose che non hanno evitato ai quattro la denuncia all’autorità giudiziaria. Per farli scendere dal treno è stato necessario l’intervento dei militari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
In un paese della Sardegna nell’800 solo i poveri potevano cogliere fichi d’india dalla strada: sapete perchè?

Un dettaglio curioso, eppure eloquente, su come anche una pianta spinosa potesse diventare terreno di scontro sociale. Vi spieghiamo tutto in questo articolo
Lo sapevate che a Decimo, nel lontano 1831, si combatteva per i fichi d’India? Non era solo questione di gusto: si trattava di sopravvivenza. Le siepi di fichi d’India, con le loro pale armate di spine e i frutti succosi, segnavano i confini dei terreni e al tempo stesso offrivano un piccolo tesoro accessibile a tutti — almeno sul lato rivolto verso la strada.
Per chi non possedeva nulla, quei frutti erano pane quotidiano, una dispensa naturale a portata di mano. Ma per i pochi benestanti con appezzamenti di terra e stalle da riempire, i fichi d’india rappresentavano cibo gratuito per ingrassare i maiali. Così ogni estate si accendeva una silenziosa battaglia: da una parte i poveri che cercavano di riempire la pancia, dall’altra i ricchi che volevano riempire le mangiatoie.
La tensione divenne talmente insostenibile che il 13 agosto 1831 il Sindaco Giuseppe Casula mise nero su bianco un’ordinanza che oggi ha il sapore di un racconto quasi fiabesco: solo chi non possedeva maiali poteva raccogliere i fichi dalla parte esterna delle siepi, e solo con una cannocchia lunga sei palmi. Un gesto per riportare un po’ di giustizia e impedire che i soliti furbi si travestissero da poveri per arraffare fichi da rivendere o usare per il proprio bestiame.
“Si rispetti il costume antico”, scriveva Casula, ricordando che la povertà vera meritava dignità e sostegno, anche solo sotto forma di un fico d’India strappato con un bastone. Ai trasgressori? Mezzo scudo di multa.
Un dettaglio curioso, eppure eloquente, su come anche una pianta spinosa potesse diventare terreno di scontro sociale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA