Tragedia di Mandas: “Chi siamo per giudicare?”, parla il sindaco. Angela Manca ancora in gravi condizioni
"Noi che spesso non vediamo o facciamo finta di non vedere, che ci allontaniamo dalle persone per futili motivi, chi siamo per giudicare? Cosa sappiamo realmente dell'amore?": queste le parole di Marco Pisano, sindaco di Mandas, a seguito del dramma che si è consumato ieri pomeriggio in paese. Angela Manca, mamma di Paolo e Claudio, si trova al ricoverata al Brotzu in prognosi riservata: le sue condizioni sono gravi
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“Oggi (ieri, ndr) due angeli sono volati in cielo, due angeli uniti nel loro destino fin dai primi istanti della loro vita. Un dramma e una tragedia che ci mostra una grande e immensa storia d’amore. Un amore che non è mai mancato ad Angela, Claudio e Paolo, a cui, con grande dignità, Monica ed Efisio non hanno mai fatto mancare nulla. Un amore infinito da cui possiamo solo prendere esempio. “Annullarsi e donarsi incondizionatamente per qualcuno nonostante tutto e nonostante tutti senza chiedere nulla in cambio”.
Noi che spesso non vediamo o facciamo finta di non vedere, che ci allontaniamo dalle persone per futili motivi, chi siamo per giudicare? Cosa sappiamo realmente dell’amore? Ora ci resta solo il silenzio e la preghiera per i due Angeli, per l’intera famiglia e per noi stessi”.
Queste le parole postate online da Marco Pisano, sindaco di Mandas a seguito della terribile tragedia consumatasi ieri pomeriggio quando una mamma, vedova 64enne, ha ucciso con un fucile i suoi due figli, Paolo e Claudio Calledda, disabili gravi e ha cercato poi, di togliersi la vita, non riuscendosi.
Angela Manca ora si trova ricoverata al Brotzu di Cagliari in prognosi riservata: le sue condizioni sono gravi.
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21 dicembre 1979: Fabrizio De André e Dori Ghezzi vengono liberati dai rapitori

La liberazione ebbe luogo in seguito al pagamento di un cospicuo riscatto, e fu incredibilmente questione di poche ore: Dori fu rilasciata alle 23 del 21 dicembre, Fabrizio alle 2 del 22. I due erano stati rapiti a Tempio il 27 agosto.
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Negli anni ’70 Fabrizio “Faber” De André acquistò un vasto terreno nei pressi di Tempio Pausania. Lì si stabilì già pochi anni dopo, in cerca della tranquillità necessaria soprattutto alla sua compagna, Dori Ghezzi, in attesa della figlia della coppia, Luisa Vittoria. Fu proprio da quella casa, però, che la notte del 27 agosto 1979 Faber e Dori vennero rapiti dall’Anonima sarda, banda di sequestratori che fin dagli anni ’60 terrorizzava l’Isola. Il 21 dicembre la liberazione.
Per quattro mesi, Fabrizio e Dori furono costretti a una vita fatta di catene, bende sugli occhi e ore passate legati agli alberi dei fitti boschi dell’entroterra. Sottoposti a un trattamento degradante fisicamente e psicologicamente, da carcerieri che però – come raccontarono poi i due – mantennero un comportamento “tutto sommato umano”: erano lunghi e frequenti i momenti passati senza i cappucci in testa, e mai mancarono le sigarette e i cerini dai quali Faber quasi dipendeva. L’attesa era poi intervallata da lunghe conversazioni sulla politica, improvvisati giochi di carte e le chiacchiere alcoliche di alcuni dei rapitori, uno dei quali – sotto gli effetti dell’alcol – confessò il proprio dispiacere per il trattamento riservato “soprattutto a Dori”, come raccontò poi la donna.
La liberazione ebbe luogo in seguito al pagamento di un cospicuo riscatto, e fu incredibilmente questione di poche ore: Dori fu rilasciata alle 23 del 21 dicembre, Fabrizio alle 2 del 22. Fu Giuseppe De André, padre del cantautore genovese, a pagare nella quasi totalità i 550 milioni richiesti per il rilascio. A novembre del 1985, poi, tutti e dodici gli appartenenti alla banda furono arrestati e condannati. Al processo Faber ribadì il proprio perdono per gli esecutori materiali del rapimento, e si costituì parte civile nell’accusa ai soli capi della banda, economicamente agiati – un noto veterinario toscano e un assessore comunale sardo del PCI – e quindi privi della necessità, che il cantautore considerava evidentemente un attenuante per gli altri uomini.
Un’intera raccolta di brani – priva di titolo, ma nota come L’indiano per il pellerossa raffigurato in copertina – fu il frutto artistico dell’esperienza, che legò ancor più saldamente il cantautore alla Sardegna.
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