“Figurati se vado da questi medici asini abituati con le pecore”: la surreale (per usare un eufemismo) conversazione della turista a Carloforte

Il post, pubblicato il 18 agosto scorso, è diventato virale in pochissimo tempo
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A pubblicare la conversazione telefonica ascoltata per caso in un bar di Carloforte è un medico sardo. Il post, come potete immaginare, è diventato virale nel giro di un giorno. “Qui non conoscono nemmeno l’abc. Gente di m*”: c’è da chiedersi, in tutto ciò, il perchè la turista abbia scelto la nostra Isola come meta delle sue vacanze considerato il suo astio nei confronti dei sardi. Di seguito riportiamo il post di Marco Conte su Facebook.
“Sanità sarda e razzismo. Orgoglioso di essere un medico sardo. Sono un medico sardo laureato all’Università di Cagliari con 110 e lode e con orgoglio. Specializzato in Ortopedia e Traumatologia in Sardegna con lode. Qui ho avuto i miei Maestri di vita e di lavoro. Sono in continua formazione e aggiornamento in Italia, in Europa e in giro per il mondo. Faccio parte di comitati scientifici e faculty nazionali. E come me tanti altri colleghi sardi e farmacisti che ogni giorno si fanno un mazzo tra le mille difficoltà burocratiche e risorse ridotte dalla spending review o da politiche sanitarie discutibili. Ci confrontiamo sempre e cerchiamo di dare sempre ai pazienti il nostro meglio: siano essi residenti o turisti, cui ci affezioniamo.
A lei turista bionda, seduta al tavolino del Bar della Fontana a Carloforte, che sabato 18 agosto 2018 alle ore 9 prendeva il caffè, o il suo solito bicchierino, e diceva con accento del nord ovest d’Italia al telefono. “Sti sardignoli di m***a, vai in farmacia e figurati se mi fido di loro che non sanno un c***o qui. A chi chiedo, ai medici di qui che sono ignoranti? O figurati se vado all’ospedale di Carbonia da questi medici asini abituati con le pecore. Qui non conoscono nemmeno l’abc. Gente di m***a”. E altro ancora.
Bene: a lei cara signora le auguro che non debba mai avere bisogno della nostra professionalità ed umanità. Le auguro che non debba mai avere a che fare con i nostri angeli della croce azzurra Carloforte e dei nostri guerrieri della Guardia Medica. Che l’elisoccorso non debba prodigarsi per lei. Le auguro che non le serva la cortesia e la professionalità delle nostre brave dottoresse farmaciste. Le auguro che non debba mai andare al pronto soccorso degli Ospedali del Sulcis di Carbonia o Iglesias dove trova dei professionisti che si fanno il mazzo h 24. Le auguro anche di continuare a godersi delle meritate ferie nel nostro paradiso. Mi auguro altresì che persone come lei meritino ben altri posti a lei più consoni. Noi medici terroni abbiamo a che fare con ben altri turisti che ci hanno viziato e coccolato, amato e rispettato. Noi siamo Tabarkini, Sardi, orgogliosi dei nostri valori e delle nostre origini. Amiamo la nostra Terra e la nostra gente (…)”.

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Porto Torres. Invalido, dopo 4 anni respira di nuovo l’aria del mare: «Grazie per il regalo che avete fatto a mio padre»

Dopo quattro anni, Franco Derudas è riuscito a tornare a Balai grazie al gesto generoso di un gruppo di volontari.
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Un gesto semplice, ma carico di significato: riportare un uomo, dopo quattro anni, a respirare l’aria del mare che tanto amava. È ciò che hanno fatto i volontari del Soccorso Sardo di Porto Torres, che in un giorno libero dal servizio hanno deciso di mantenere una promessa fatta a Franco Derudas, invalido al 100% e impossibilitato a uscire dalla propria abitazione priva di ascensore o montascala.
Ad accompagnarlo a Balai sono stati Umberto, Alessia, Angela e Umberto Niedda, ai quali va la riconoscenza della famiglia. Un gesto che per i Derudas significa molto più di una semplice uscita: è un atto di solidarietà capace di restituire dignità, speranza e la bellezza di un momento condiviso.
«Grazie di cuore ai volontari – racconta con emozione il figlio Manuele (leggi QUI la sua storia di coraggio) – che hanno mantenuto la promessa di portare mio padre a respirare l’aria di Balai dopo quattro anni. Non dimenticheremo mai quello che hanno fatto per lui».
E ancora: «Questo è il bello dell’umanità. Un gesto generoso e umano da parte di ragazzi straordinari, che ci hanno dimostrato che il bene nel mondo esiste ancora».
Quel pomeriggio, sulla scogliera di Balai, Franco Derudas ha potuto rivivere un frammento di libertà che il peso della malattia e le barriere architettoniche gli avevano negato. Un sorriso e un respiro di mare che resteranno scolpiti nella memoria di chi gli vuole bene.

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