“A noi servono donne, non maschi mancati”: rifiutata per un posto di lavoro perchè lesbica

Roma, non viene assunta perché lesbica: "Ci servono donne, non maschi mancati". Protagonista del terribile episodio discriminatorio una ragazza che si era candidata per un lavoro durante lʼEstate romana
“Facciamo appello a tutte le istituzioni, al fine che attivino politiche contro le discriminazioni sul lavoro, perché come dimostra questo caso spesso le persone lesbiche, gay e trans, non riescono neanche ad accedere al mondo del lavoro”. Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center, commenta così l’ultimo episodio di discriminazione sessuale sul lavoro registrato a Roma. Protagonista, suo malgrado, una ragazza romana candidatasi per un impiego all’interno di uno stand di una manifestazione del programma di Estate romana, rifiutata perché lesbica.
Come riporta il Tgcom, a rendere pubblico l’episodio, come detto, il Gay Center. La giovane si sarebbe vista respingere l’assunzione nel corso di una conversazione via chat, quando le sarebbe stato detto: “A noi servono donne, non maschi mancati. Ti presenti come donna, ma hai l’aspetto da maschio”. La ragazza aveva risposto ad un annuncio di lavoro riguardante lo stand di tiro al bersaglio nell’ambito di Lungotevere in Festa 2018.
“Riteniamo molto grave quanto è avvenuto – le parole di Marrazzo, responsabile tra l’altro del numero verde Gay Help Line 800713713 – non si possono discriminare le assunzioni di dipendenti in base all’orientamento sessuale, come da art. 3 a del Decreto Legislativo n. 216 del 9 luglio 2003. Pertanto richiediamo alla sindaca Raggi di revocare la licenza dello stand”.

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Lo sapevate? Perché in Sardegna si dice “Petza cota, petza crua”?

Un enigma che sembra uscito da una di quelle antiche leggende sarde, eppure non c’è un’origine storica, né un significato profondo. In pratica, è uno di quei detti che proprio non puoi non usare, soprattutto quando ti ritrovi a chiudere una serata tra amici o un incontro di lavoro.
Lo sapevate? Perché in Sardegna si dice “Petza cota, petza crua”?
Un enigma che sembra uscito da una di quelle antiche leggende sarde, eppure non c’è un’origine storica, né un significato profondo. In pratica, è uno di quei detti che proprio non puoi non usare, soprattutto quando ti ritrovi a chiudere una serata tra amici o un incontro di lavoro.
Un capolavoro di suono, ritmo, e, oserei dire, pura poesia popolare, che scivola via dalla bocca come una melodia perfetta. Ma cosa significa davvero? Boh, chi lo sa! E la bellezza sta proprio qui, nel fatto che non ha un significato preciso. È come una di quelle canzoni che ti entrano in testa e non se ne vanno più, anche se non hai idea di cosa stai cantando.
In Sardegna, i detti – o come li chiamano i locali, i “diccius” – sono piccoli frammenti di vita, risate e saggezza popolare. Non sono solo frasi fatte, sono veri e propri racconti che ti danno un assaggio della cultura sarda. E anche se alcuni di questi proverbi non sembrano avere una logica stringente, il loro fascino è innegabile. Ogni “dicciu” è come un piccolo scrigno che custodisce ironia, esperienza e, a volte, anche una bella risata. Non importa che il significato sia nebuloso: è il suono, l’ironia, la sensazione che ti lascia a rendere questi proverbi irresistibili.
E così, ecco che “Petza cota, petza crua”, o il suo parente stretto “Pira cota, pira crua”, continua a riecheggiare in ogni angolo dell’isola. Che si sia al bar, nel mercato, o nel salotto di casa, questa frase è un po’ come un marchio di fabbrica della Sardegna. A nessuno importa davvero cosa voglia dire: basta che suoni bene, che ci faccia sorridere, e che concluda una serata come si deve. Che ci si stia concludendo un incontro tra amici o semplicemente uno di quei colloqui dove nessuno vuole andare via per primo, “Petza cota, petza crua” è il sigillo che dice “è ora di andare a casa”, senza fronzoli, senza giri di parole. Bello o brutto, buono o cattivo, carne cotta o carne cruda, l’importante è che il cerchio si chiuda e ognuno vada per la sua strada.
La cosa incredibile è che, più che un proverbio tradizionale, questo detto è come una canzoncina, una filastrocca da ripetere con il sorriso ogni volta che il momento dell’addio si avvicina. È una di quelle frasi che nasce nei villaggi, cresce nelle chiacchiere da bar e sopravvive nel cuore dell’isola, specialmente nel Campidano e nel sud della Sardegna. Non importa se sei in campagna o nella città di Cagliari, ogni occasione sembra essere quella giusta per far volare via un “Petza cota, petza crua” al termine di una chiacchierata.
E, se proprio vogliamo fare i puristi, c’è anche una variante: “Pira cota, pira crua”, che suona ugualmente bene e si dice con lo stesso ritmo coinvolgente. Ma attenzione, questa frase non è mai sola: c’è sempre un seguito, una sorta di seconda parte che completa il cerchio. “Petza crua, petza cota, s’intendeus un’atra ota” (oppure “atra borta”, a seconda di dove ti trovi sull’isola). E cioè: ci vediamo un’altra volta, magari con la carne cotta, magari con quella cruda, ma sicuramente ci vedremo di nuovo.
Il bello di questi proverbi sardi è che non sono solo un bel suono, ma sono pure un ponte tra passato e presente. Ti raccontano di una Sardegna agropastorale, di antiche tradizioni che sopravvivono nelle conversazioni quotidiane, con un tocco di ironia che non guasta mai. Questi detti sono la vera colonna sonora della vita sull’isola, che ti fa sentire subito parte di una storia che dura da secoli, senza bisogno di spiegazioni complicate. Come dire, chi ha bisogno di una lezione di filosofia quando puoi semplicemente ripetere un detto che ti fa sorridere?

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