Diga Monti Nieddu, Sarroch: lavoratori in sciopero. Da mesi non vengono pagati

I lavoratori al cantiere della diga di Monti Nieddu a Sarroch da stamattina hanno incrociato le braccia: da mesi non percepiscono stipendio. A denunciare e mettere in luce il fatto è il deputato di Unidos, Mauro Pili
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I lavoratori al cantiere della diga di Monti Nieddu a Sarroch, incrociano le braccia. Da mesi non percepiscono stipendio. L’opera si trova in una fase delicata della realizzazione e cioè l’elevazione dello sbarramento ma ora tutto è fermo.
A denunciare la situazione il deputato di Unidos, Mauro Pili: “Da questa mattina i lavoratori delle imprese d’appalto che stanno realizzando la diga di Monti Nieddu a Sarroch bloccano il cantiere che sta realizzando l’imponente sbarramento. Da mesi non vengono pagati senza alcun motivo. Si tratta dell‘ennesimo blocco di una diga fondamentale per lo sviluppo turistico e agricolo dell’intera zona. Il blocco avviene proprio nel momento in cui era cominciata la fase più delicata della realizzazione dello sbarramento dell’invaso. E’ l’ennesimo cantiere che si blocca per responsabilità dirette della regione che continua a non monitorare l’esecuzione degli appalti e il corretto pagamento di imprese e sub appaltatori e conseguentemente dei lavoratori stessi.
Si intervenga immediatamente per pagare le maestranze ed evitare questo ennesimo blocco che rischia di compromettere una fase delicata della realizzazione della diga. Un invaso finanziato nel 2003 con 52 milioni di euro con un mio provvedimento da commissario governativo per l’emergenza idrica e che a distanza di 15 anni le amministrazioni che si sono susseguite non sono state in grado di realizzare e che vedono oggi un ulteriore blocco. In un cantiere come quello di una diga i lavoratori sono il pilastro di una corretta esecuzione dei lavori, non pagarli significa mettere a repentaglio la corretta realizzazione dell’opera. Nel contempo vanno valutate tutte le situazioni delicate che riguardano l’esecuzione dell’infrastruttura, a partire dalla gestione dei fanghi di lavorazione che devono trovare la giusta collocazione in apposite discariche”.

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Cagliari, il Consiglio di Stato conferma il divieto di legare le bici fuori dagli stalli

Una decisione che farà discutere e che segna un punto a favore del decoro urbano in città. Il Consiglio di Stato ha "promosso" il giro di vite voluto dall'amministrazione dell'ex sindaco Paolo Truzzu, confermando la piena legittimità del divieto di incatenare le biciclette fuori dagli stalli dedicati.
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Cagliari, il Consiglio di Stato conferma il divieto di legare le bici fuori dagli stalli.
Una decisione che farà discutere e che segna un punto a favore del decoro urbano in città. Il Consiglio di Stato ha “promosso” il giro di vite voluto dall’amministrazione dell’ex sindaco Paolo Truzzu, confermando la piena legittimità del divieto di incatenare le biciclette fuori dagli stalli dedicati.
Con una sentenza che rigetta il ricorso presentato dalla Fiab di Cagliari, i giudici di Palazzo Spada hanno messo la parola fine a una lunga battaglia legale.
Il provvedimento, incluso nel regolamento di Polizia e Sicurezza Urbana approvato dalla precedente amministrazione comunale, stabilisce in modo chiaro e inequivocabile che è vietato legare le biciclette a “infrastrutture pubbliche non destinate allo scopo”. La violazione di questa norma comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie che vanno da un minimo di 100 a un massimo di 300 euro.
I giudici hanno spiegato che la decisione mira a tutelare, in un’ottica di miglioramento della vivibilità e del decoro della città, quelle infrastrutture che spesso si trovano sui marciapiedi, nelle piazze, nei parchi, o vicino a monumenti. Si tratta di elementi di arredo urbano come ringhiere, recinzioni o pali, per i quali è già generalmente vietata la sosta di qualsiasi veicolo. Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, la disposizione non viola in alcun modo le norme del codice della strada.
Ma la sentenza va oltre, affrontando un punto cruciale sollevato dai ricorrenti. La Fiab aveva denunciato una presunta disparità di trattamento tra gli “utenti deboli”, ovvero i ciclisti, e gli “utenti forti”, come gli automobilisti, sostenendo che la norma penalizzasse i primi a vantaggio dei secondi. Il Consiglio di Stato ha respinto categoricamente questa tesi, evidenziando che una disparità di trattamento può essere configurabile solo in presenza di situazioni perfettamente identiche, e che tale condizione non sussiste in questo caso. I giudici hanno inoltre ritenuto infondata la disparità invocata in appello anche rispetto ai monopattini.
Infine, sono state giudicate infondate anche le censure che contestavano la presunta contraddittorietà del regolamento con gli obiettivi fissati dal Piano Urbano della mobilità sostenibile. A questo proposito, il Consiglio di Stato ha ribadito che si tratta di una valutazione discrezionale, per la quale “il giudice non può sostituirsi all’amministrazione”. La decisione ha quindi confermato la legittimità dell’azione comunale, stabilendo che la tutela del decoro urbano è un obiettivo prioritario che può essere perseguito attraverso normative specifiche.

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